Mister Amarone, il coraggioso

Giovedì 14 Giugno 2018
Mister Amarone, il coraggioso
LA STORIA
«Abbiamo avuto il coraggio di fermare il tempo, non abbiamo avuto paura di saperlo ascoltare, non abbiamo avuto fretta di vederlo scomparire. E lui, il tempo, ha saputo trasformarsi, ha saputo stupirci. E il vino di queste nostre terre è diventato passato e futuro. Ha accolto la sua memoria, riconsegnato ad altri il coraggio del gusto» sussurra Mister Amarone, in un bel video diretto qualche anno fa da Andrea Segre e intitolato Il gusto del tempo. Mister Amarone (atto secondo) è un libro di Kate Singleton (ed. Mondadori, 16,90 euro), ma è soprattutto un uomo, che fra vino e colline, fra cielo e Valpolicella ha passato la vita, nella casa di famiglia («Ho vissuto in coabitazione con l'uva, schiacciato fra il granaio e la cantina»), svegliato ogni giorno dal rumore dei passi felpati (e scalzi, per non sporcare i pavimenti) dei contadini - e del loro andirivieni sulle scale -, che portavano in cantina i grappoli. Le pigiature, il trasferimento del mosto nei tini, le gerle, la mostarola, i gesti ancestrali e sempre manuali, di vero artigianato d'arte, e le merende preparate dalla zia Toscana in salotto per gli operai, perché «il pane non si mangia in cantina» e nessuno ha mai capito perché: «Solo in quelle case ricorda Boscaini si respirava il profumo dell'uva e ancora ricordo con precisione come variava, quel profumo, dall'intensa fragranza di ciliegia dell'uva fresca al più riposato dolciastro di quella appassita».
LA VALLE DEI MASI
Sandro Boscaini è la sesta generazione dell'azienda Masi, e Masi non è un cognome, come pensava anche Goffredo Parise, affascinato, più di 30 anni fa, dal Campofiorin (Una cosa meravigliosa), ma il nome di una valle (il Vaio dei Masi) sulle pendici della Valpolicella, dove nel 1772 i Boscaini entrarono in possesso di terreni per via di matrimonio. E l'Amarone non è un vino antico, ma modernissimo «perchè fino a 50 anni fa veniva considerato solo una versione secca del Recioto», rinfresca la memoria Boscaini. Un Recioto scampà, lo chiamavano, cioè sfuggito di mano. È un vino unico, irripetibile, geniale e strano davvero, prodotto con pratiche antiche di duemila anni, ma nato da un'idea moderna, quella che partendo dalle stesse uve e dalle stesse tecniche del Recioto si potesse arrivare a qualcosa di affascinante che non fosse necessariamente dolce.
Sandro Boscaini, classe 1938, da Marano di Valpolicella, è ha detto qualcuno per l'Amarone quello che Angelo Gaja è per il Barbaresco e Antinori per il Chianti: primo di quattro fratelli, tre figli (due dei quali lavorano in azienda) e una moglie, Giuliana, maestra mantovana con la passione per la pittura («ma non sono mai riuscito a coinvolgerla nell'azienda»), è Mister Amarone perché lo ha rivoluzionato, nella sostanza e nell'immagine, e lo ha fatto diventare quello che è, un fenomeno planetario: dal Veneto al mondo, appunto. In due mosse.
LA RIVOLUZIONE
La prima è stata ripulirlo dai suoi antichi squilibri, dal troppo alcol, di liberarlo dalla schiavitù obbligata dei lunghissimi affinamenti (dieci, dodici anni, necessari per ammorbidirne i tannini e l'ossidazione), con un meticoloso lavoro, soprattutto in vigneto: «Ad un certo punto racconta sembrava che la vigna fosse diventata facoltativa per le aziende vinicole. Era duro, certo, ma era il nostro mestiere. Gli industriali sorridevano, liquidandoci come contadini, ma il tempo ci ha dato ragione». E quando al Vinitaly 1987 Masi presentò il suo Amarone dell'83 mentre tutti gli altri presentavano come ultimi nati il 1977, massimo 78 «la gente scuoteva la testa e ci dava dei matti. Poi assaggiava e capiva di essere di fronte a qualcosa di completamente differente».
E poi l'altra scelta choc, rivoluzionaria: il rifiuto di produrre Amarone negli anni in cui la vendemmia non era considerata buona. Anche allora gli diedero del pazzo, ma lui non se la sentiva di mettere in bottiglia un vino che non rispondesse ai suoi criteri di qualità. Negli ultimi trent'anni è successo sei volte.
Masi è uno splendido quartier generale a Gargagnano di Valpolicella, in una villa acquisita dagli eredi di Dante Alighieri. Ed è anche un Premio, con la p maiuscola, pensato nell'ormai lontano 1981 e diventato uno dei grandi appuntamenti della cultura internazionale, che celebra la memoria e l'identità, nato dall'amore per la sua terra, la sua storia, la sua gente e da una profonda ammirazione per Venezia: «Trent'anni fa meditavo sul fatto che noi veneti eravamo spesso considerati dei provinciali, anche perché per decenni siamo stati molto poveri. Fare vino qui in Veneto offriva scarsa gratificazione, mentre per i viticoltori piemontesi e toscani i riconoscimenti erano sempre tanti. Il Veneto era conosciuto per i soli vini da prezzo e questo mi amareggiava. Avevo studiato, girato il mondo, ero orgoglioso della radice vinicola della mia famiglia, ed ero convinto della potenzialità della nostra terra, ma mancava sempre qualcosa per mettere a fuoco tutto questo».
Boscaini, a 80 anni, è un motore sempre acceso. Prendi l'idea delle famiglie storiche dell'Amarone, tredici produttori che reagiscono (e rifiutano) a pratiche non consone che accorciano le attese, riducono qualità e prezzi, sviliscono il prodotto e l'immagine. Ed è curioso, e un po' amaro, in fondo, come Sandro, dimezzando i tempi dell'Amarone abbia suggerito ai furbetti del vino che, in fondo, quei tempi si potevano ridurre ancora di più, facendo così esplodere la produzione da 5 a tredici milioni di bottiglie, ovviamente da vendere a prezzi che ingolosiscono gli appassionati da supermercato: di colpo l'Amarone diventava alla portata di tutti, o quasi. Sì, ma quale Amarone?
PIAZZA AFFARI
Boscaini ha portato Masi in borsa, nel 2015, prima azienda vinicola italiana a Piazza Affari. Ma ha piantato radici (in tutti i sensi) sulle colline del Prosecco, in Toscana, in Trentino, in Argentina. Masi è 560 ettari di vigneto di proprietà e 580 convenzionati, 130 dipendenti, 12 milioni di bottiglie complessive da tutto il gruppo, quasi il 90% vendute all'estero. Masi, e dunque Boscaini, è «il più grande domatore di amarone», come dice l'autrice, visto che ne produce cinque differenti e per lui l'Amarone, il gigante gentile, è tutto: figlio, amico, compagno di viaggio e di merende, confidente. suadente, persuasivo, conciliante, lusinghiero, sensuale, coinvolgente lo descrive.
E capace di sfidare il tempo: «Una buona annata può stare in bottiglia per 35-40, un'annata media almeno una ventina». Il Marco Polo dei vini, viaggiante e orgoglioso delle sue origini. E, come tutti i grandi viaggiatori suggerisce Kate, inglese da 40 anni in Italia, premio Cesare Pavese per la prima edizione del libro, sette anni fa - una naturale cordialità e l'attitudine ad essere percepito come particolare e affascinante, in modi diversi e da persone diverse».
Così, en passant, Boscaini è anche l'uomo che oltre 50 anni fa inventò il Ripasso che stregò Parise, altra leggenda vinicola della Valpolicella, ed è stato fra i primissimi a pensare il Vinitaly, oggi la più grande fiera mondiale del vino.
Coraggioso ed energico, visionario e innovatore come pochi. Eppure, ci fu un giorno in cui disse a Bill Gates: «Voi lavorate con una tecnologia che dopo sei mesi è già obsoleta, noi ne usiamo una che ha duemila anni di storia eppure è sempre moderna».
Claudio De Min
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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