«Meta-Moro la canzone andava squalificata»

Martedì 13 Febbraio 2018
L'INTERVISTA
Sanremo è la sua seconda casa. Ci è passato molte volte: negli anni 60 da cantante (qui furono lanciati i suoi due più grandi successi - Come sinfonia e Io che non vivo), successivamente come selezionatore per un biennio, qualche anno fa come premiato speciale e adesso ci è tornato come presidente della giuria di qualità. Diciamo insomma che gli manca soltanto di fare il presentatore e poi ha fatto veramente di tutto. Insomma Sanremo e Pino Donaggio si vogliono bene da sempre.
Allora Donaggio, a quando la presentazione del festival? L'ha fatto quest'anno Claudio Baglioni
«Penso proprio di no. Il presentatore è un ruolo che non fa per me. Quando salgo sul palco, specie quello dell'Ariston, mi manca sempre la saliva per l'emozione. Quindi se devo almeno fare una cosa di cui sono capace come cantare riesco a superare l'impasse, ma se devo presentare qualcun altro direi che potrei restare senza fiato. Meglio di no».
Magari ci può tornare allora come cantante, visto che pur non essendo più giovane giovane, come quella canzone che cantò al festival nel 1963 con Cocky Mazzetti, che arrivò terza - ha sicuramente un'età inferiore dell'84enne Ornella Vanoni
«Di Ornella credo abbiamo ammirato tutti la sua signorilità, la sua eleganza, anche se forse a una certa età bisognerebbe capire che non si può esagerare. La sua canzone però era decisamente bella. Ma senza togliere nulla a Ornella, credo più per la qualità del brano, che per la sua, comunque raffinata, esecuzione.
Tornare a rivivere da vicino i giorni di Sanremo, con le sue ansie, timori, stress, tormenti, che effetto le ha fatto?
Mah a dire il vero come giuria abbiamo vissuto poco il Festival. Ci hanno blindato, siamo rimasti spesso in hotel. Ho avuto solo un contatto diretto, prolungato con Ron, perché eravamo nello stesso albergo, così ci siamo messi a chiacchierare di Dalla e della sua canzone».
Le canzoni siano state di suo gradimento?
«Sì, il livello è stato decisamente buono. D'altronde a sceglierle c'era un cantautore. La forza di Baglioni è stata quella di rimanere autonomo da pressioni di case discografiche e produttori. Mi ha colpito il livello professionale dei giovani, nulla da invidiare ai big».
Com'è andato il lavoro in giuria?
«In totale armonia. Ci siamo trovati quasi sempre d'accordo, anche se ognuno votava senza sapere cosa preferiva un altro. Il regolamento prevede oggi l'obbligo di distribuire, come si ritiene meglio, 20 voti tra 10 canzoni, in modo da evitare ribaltamenti radicali come nell'anno in cui vinsero gli Avion Travel. Abbiamo fatto un buon lavoro, con Rocco Papaleo che è stato dissacrante e ci ha fatto divertire molto, com'è giusto sia, vista la sua attività di attore brillante».
Quindi viva Ermal Meta e Fabrizio Moro, arrivati alla vittoria, tra polemiche e un processo alla loro canzone.
«In realtà la nostra preferenza nella finale a tre era andata ad Annalisa, ma il televoto credo abbia dato un verdetto diverso e ai numeri più decisivo. La canzone di Meta e Moro ci è piaciuta molto e l'abbiamo votata con ottimi punteggi, tuttavia credo, e lo dico a livello personale, sarebbe stato giusto che la canzone fosse squalificata, perché la parte estratta da un altro brano era abbastanza determinante. Ma il regolamento del festival la pensa in modo diverso. E quindi noi diligentemente l'abbiamo votata. E bene».
È stato un festival dai record di audience. Quali i motivi?
«Pensavano che togliendo le eliminazioni, il pubblico avrebbe gradito meno. Se togli la suspence, la gente non si diverte, dicevano. Invece è andata esattamente al contrario. Credo che il merito sia di Baglioni che ha riportato la canzone al centro del festival. I big sono stati per lo più italiani, a parte Sting e James Taylor, non certo dei giovani nemmeno loro. Non era certo un'adesione alle polemiche sull'invasione straniera di questi tempi, Baglioni ha voluto valorizzare la canzone italiana. Le canzoni hanno potuto sforare i 4 minuti, una volta inammissibile, per permettere a ciascun cantante di esprimersi al meglio».
Ma vincere Sanremo è ancora importante per un cantante?
«Direi proprio di sì, specie oggi che si vendono meno dischi. Vincere il festival dà immediatamente più visibilità, aumenta almeno un po' il successo commerciale, ti dà la possibilità di poter fare più serate in giro per l'Italia. Certo le canzoni rimangono impresse meno di una volta, perché le melodie che si mandavano a memoria sono sparite e forse anche i tempi di fruizione sono diversi, oggi è tutto usa e getta. E comunque le canzoni, cosiddette da Sanremo, non esistono più.
Ma Sanremo vivrà in eterno?
Non lo so, più di noi senz'altro. Nessuno avrà mai il coraggio di dire basta.
Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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