Le confessioni di Fini: «Meglio gli onesti dei presunti capaci»

Mercoledì 19 Settembre 2018
Le confessioni di Fini: «Meglio gli onesti dei presunti capaci»
IL COLLOQUIO
Bastiancontrario, ribelle, anti moderno, anarchico, controcorrente. Gli aggettivi per definire Massimo Fini si sprecano. Giornalista, classe 1943, è stato inviato de L'Europeo e de Il Giorno negli anni 80-90, oltre che editorialista e collaboratore per altre testate, tra le quali Il Gazzettino. Fini è anche uno scrittore prolifico (17 pubblicazioni) e drammaturgo. Si dichiara un perdente di successo, come lo definì Giovanni Minoli, tanto calzante da diventare il sottotitolo dell'ultimo libro: Confesso che ho vissuto. Esistenza inquieta di un perdente di successo (Marsilio, 22 euro). Si tratta di una raccolta di 3 opere, quelle che meglio descrivono la sua complessapersonalità: Di(zion)ario erotico, Ragazzo, Una vita.
Partirei dal titolo e da una domanda un po' marzulliana: perdenti si nasce o si diventa?
«Si diventa se non ci si aggioga alla politica, alla corruzione, ai giochi di potere, alle mafie in senso lato. Da perdenti si fa molta più fatica ad emergere, ma fortunatamente io sono riuscito ad affermarmi ugualmente. Sono infiniti gli episodi nel corso della mia carriera in cui hanno cercato di tagliarmi le gambe perché scomodo e non allineato».
Me ne cita uno?
«Sulla soglia dei 60 anni, nel 2003, mi proposero di partecipare a un programma di approfondimento su Rai 2, un talk show in terza serata, che doveva chiamarsi Cyrano, in cui avevo compito di dire la mia sul tema della serata. Registrammo la prima puntata e tutto sembrava definito: contratti firmati, comunicati stampa, lanci sui giornali. Alla vigilia della messa in onda arrivò il veto dall'allora direttore di rete Antonio Marano. A pronunciare il verboten fu il Presidente del Consiglio Berlusconi».
Il suo essere contro, fuori dal coro, non rischia di diventare una sorta di posa intellettuale?
«In realtà io non sono sempre contro la communis opinio, solo che tante volte non ritengo utile aggiungere il mio contributo. In ogni caso è vero, qualcosa nel mio Dna che mi spinge ad andare controcorrente.
Nei suoi libri un tema ricorrente è il tempo. Il futuro le fa sempre orrore? E come vive invece il passato e il presente?
«Sì il futuro per me vuol dire avvicinarsi alla fine, ancora di più adesso, alla mia età. Avrei sempre voluto rimanere piccolo, e in qualche modo ci sono rimasto, perché sono sostanzialmente un grande ingenuo. L'età a cui ritornerei subito? I miei 16 anni: stavo con la ragazzina più bella della spiaggia. Fu un anno magico. Il presente cerco di viverlo godendo delle piccole cose che può offrire la quotidianità, come un bicchiere di buon vino».
Nessun desiderio di vedere come va a finire, anche in riferimento allo scenario politico attuale?
«La politica mi incuriosisce e forse talvolta mi appassiona. Seguo volentieri ma con la distanza critica che un giornalista deve mantenere le vicende del Movimento 5 Stelle. Li ho osservati fin da subito, questi ragazzi, li conosco bene. Sono persone pulite. Il mio primo incontro con Beppe Grillo, risale a una trentina d'anni, quando i suoi spettacoli erano ancora comici. Poi quando iniziò con la politica, mi chiese qualche consiglio. Di sicuro gliene ho dato uno sbagliato: gli suggerii di spaccare un pc alla fine delle sue performance con una mazza. Mentre fu proprio grazie a quello strumento che il suo movimento è arrivato dov'è».
L'onestà, da sempre slogan dei 5 Stelle, basta per governare un Paese?
«No, certo. Ma se loro sono incapaci, che cosa hanno fatto prima i capaci? Preferisco in ogni caso l'onestà alla delinquenza. Vedremo i risultati se e quando questo Governo arriverà a fine legislatura. Credo che le vere potenzialità del M5S emergeranno con il tempo. La Lega, per il momento, sta facendo la parte più facile».
Tornando al libro, il suo famoso Di(zion)ario erotico è ancora l'opera che più le chiedono in omaggio le signore?
«Sì. Credo sia perché parla del femminile dal punto di vista maschile, o almeno dal mio. Non è piaciuto e non piace alle femministe, ma in realtà è l'uomo che ne esce a pezzi. Basta leggerlo senza pregiudizi per scoprire che è un'esaltazione della donna procreatrice, mentre lui è paragonabile un fuco».
La copertina di Confesso che ho vissuto la ritrae da giovane e sullo sfondo Venezia nella foschia. Qual è il suo rapporto con questa città?
«Mi è sempre risuonata dentro. Adesso, con l'invasione turistica molto è cambiato, ed è così non solo per Venezia ma per tutte le città d'arte. E allora preferisco ricordarla come allora, e guardarla da lontano».
Laura D'Orsi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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