LA RECENSIONE
La Bohème è in repertorio alla Fenice da otto anni. La

Lunedì 19 Marzo 2018
LA RECENSIONE
La Bohème è in repertorio alla Fenice da otto anni. La regia è sempre quella di Francesco Micheli con qualche lieve assestamento nel secondo atto. Singolare l'idea iniziale. L'azione è racchiusa in una cornice lucente come se il racconto fosse concepito all'interno di una cartolina e allontanato nel tempo in una giovinezza sospesa. Il secondo quadro evoca la Parigi chiassosa del Quartiere latino con una festa colorata. La scena di Edoardo Sechi è polivalente; una Metropolitana attraversa il palcoscenico e si eleva da terra formando due piani sovrapposti con masse vocali e comparse che si riversano nella piazza del Caffè Momus: una bella intuizione. Nel complesso una regia pensata e abile ma troppo gremita. La pregevole direzione di Stefano Ranzani guarda con accortezza al palcoscenico: le voci vivono nell'orchestra. Si riascoltano le finezze della partitura del 1896 che sembra scritta almeno un decennio più tardi, certo Debussy sinfonico e le scansioni ritmiche del giovane Stravinskij. Compagnia di canto diseguale. Piuttosto spaesato il Rodolfo del tenore peruviano Ivan Ayon Rivas; Selene Zanetti, Mimì (in foto), è la rivelazione della serata: un soprano lirico incline ad ardori drammatici. L'attendiamo anche in repertori verdiani. Debole nel complesso il quartetto dei bohémiens ad eccezione del Marcello di Julian Kim. Impeccabili il coro di Marino Moretti e quello di voci bianche di Diana D'Alessio.
Mario Messinis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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