L'INTERVISTA
Che effetto strano incontrare ad Auronzo, Aleida Guevara March,

Giovedì 7 Dicembre 2017
L'INTERVISTA
Che effetto strano incontrare ad Auronzo, Aleida Guevara March, primogenita di quel comandante che affascinò il mondo intero: il Che. Un po' inusuale come scenario quello delle Tre Cime, perché dire Che Guevara significa semmai lo sfondo di una Cuba con la sua patina decadente fatta di sigari, di mojito, di Chevrolet anni '50 che borbottano al ritmo del sound nostalgico del Chan Chan tra il Malecon e i portici diroccati di una Habana vieja invasa ogni anno da milioni di turisti. L'immagine di Che Guevara, che nella rappresentazione di Alberto Korda forse è la foto più celebre al mondo, campeggia in Plaza de la Revolucion ed abbellisce i mega cartelli posti lungo le strade polverose di Santiago e Trinidad ma soprattutto è il simbolo inconfondibile stampato su milioni di magliette indossate da chi lo considera ancora oggi un mito. Del Che, Aleida ha ereditato il cognome e la laurea in medicina e guardandole gli occhi si ritrovano inconfondibili i lineamenti del padre. Profonda sostenitrice dei diritti umani, è giunta in Italia e tra le tappe ha scelto le Dolomiti patrimonio Unesco per raccontare la sua storia e i suoi progetti.
La tappa di Auronzo di Cadore è stata promossa dal sindaco Tatiana Pais Becher che l'ha voluta come protagonista della X edizione del ciclo di incontri per le scuole Il Mondo è vostro, potete cambiarlo. L'obiettivo è la raccolta di fondi per l'acquisto di farmaci e forniture mediche dell'ospedale argentino Eye Center Dr. Ernesto Che Guevara di Cordoba in Argentina.
Qual è il motivo della sua visita qui ad Auronzo?
«Sono stata invitata da alcuni amici che si occupano di solidarietà e progetti umanitari. In questa circostanza parlo del progetto Operazione Miracolo che riguarda un ospedale intitolato a mio padre, a Cordoba in Argentina. La struttura è specializzata nelle malattie oftalmiche, in particolare la cura della cataratta»
Diritti umani e debito dei paesi poveri, a distanza di cinquant'anni i problemi sono gli stessi che hanno motivato suo padre. È questa la rivoluzione più difficile?
«Si sta creando una situazione in cui il divario tra ricchi e poveri è sempre più profondo e di conseguenza gli ideali per cui si batteva mio padre sono oggigiorno più che mai attuali».
Le armi del Che erano il fucile e i libri. Che ricordi ha di questo aspetto romantico?
«L'ideale di mio padre era quello di lottare per un mondo migliore. Questo concetto oggi va contestualizzato, dipende dal luogo, dal tempo, dallo spazio in cui si vive. Il valore romantico espresso da mio padre è sempre stato quello di lottare con amore, credere in qualcosa con passione, questo era il perno principale della sua ideologia. Quello che possiamo fare noi oggi è mantenere la coerenza tra ciò che si dice e quello che si fa».
Bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza è una frase celebre di suo padre; lei la applica nelle sue azioni?
«Molto spesso le azioni sono più importanti delle parole e portare avanti il messaggio di mio padre significa letteralmente metterlo in pratica. A Cuba stiamo cercando di restituire il sentimento, l'amore, la solidarietà di molti uomini e donne che, come mio padre, hanno combattuto per la libertà».
Negli incontri con Fidel Castro, le parlava mai del Che?
«Zio Fidel, così l'ho sempre chiamato, parlava poco di mio padre, ma quando lo faceva si esprimeva come se dovesse entrare da un momento all'altro dalla porta. Un giorno, vedendomi sorridere, mi chiese perché ridessi. Gli risposi parli di mio padre come se fosse presente. E lui replicò Lui è presente».
Qualcuno ha detto che non è Che Guevara che ha scelto la rivoluzione, ma la rivoluzione che ha scelto Che Guevara. Anche lei è stata scelta dalle battaglie che sta conducendo nel campo sociale?
«Sono nata e cresciuta in mezzo al popolo, in un ambiente dove la prima cosa che ho appreso è stata quella di amare. Ho sempre cercato di trasmettere i sentimenti che mi sono stati insegnati da mio padre: solidarietà, uguaglianza, rispetto. Sto cercando di restituire questi valori al popolo cubano e spero che sia orgoglioso di vedermi partecipe nella vita del Paese».
Come vede il futuro dell'isola nei rapporti con gli Stati Uniti dopo le chiusure di Donald Trump?
«Trump rappresenta quello che per noi è il presidente americano per antonomasia: un leader aggressivo, senza principi etici. Possiamo dire che Obama è stato un'eccezione. Quello che sta facendo Trump attualmente non ci sorprende, il popolo cubano continuerà a lottare dignitosamente per i suoi diritti. Vorremmo che ci venisse restituito il territorio di Guantanámo perché ci è stato tolto ingiustamente. Vorremmo fosse abolito l'embargo e che il popolo cubano potesse emigrare liberamente negli USA».
Che ricordo porterà con sé dell'Italia e degli italiani tornando a Cuba?
«Non me la sento di generalizzare sul popolo italiano e sul vostro Paese, in quanto ho conosciuto persone che rappresentano solo una parte di esso, circoscritte a temi della solidarietà e dei diritti umani. Mio padre mi ha sempre detto che per conoscere un paese bisogna vivere insieme alla sua gente ed io non ne ho avuto l'opportunità. Posso però affermare che porterò con me sentimenti di amicizia, solidarietà e calore umano».
Giovanni Carraro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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