Inaudi va in scena con Preziosa Una donna contro i suoi fallimenti

Lunedì 21 Gennaio 2019
IL COLLOQUIO
Ha fatto tappa a Castelmassa in provincia di Rovigo, Preziosa con Francesca Inaudi raccogliendo un buon successo di pubblico. Ieri al Mercato Coperto (nella rassegna di prosa curata da Arteven), l'attrice senese ha portato in scena lo spettacolo di Maria Teresa Venditti, per la regia di Luca De Bei. Nei prossimi giorni Inaudi sarà mercoledì 23 a Vicenza al Teatro Comunale e infine giovedì a Padova, alla Multisala Pio X.
Ancora una volta, Inaudi ci regala un personaggio tormentato: una donna e la sua vita difficile, che ha tentato il suicidio più volte, tra sindrome d'abbandono, genitori anaffettivi, sgangherati rapporti di coppia, psicoterapia. Un sorta di flusso di coscienza in cui la protagonista ripercorre le tappe fondamentali anche attraverso i propri tentativi di suicidio, tra ironia e riflessioni più drammatiche. Si tratta certamente di una delle prove attoriali più difficili per uno dei volti più interessanti della scena italiana, che da sempre alterna con abilità teatro, cinema, televisione.
Inaudi, perché la scelta di interpretare la protagonista?
«Perché è un personaggio semplice e complesso, insieme. Mi interessava la possibilità di raccontare le contraddizioni reali che ognuno di noi può vivere nel proprio sviluppo».
Chi soffre di sindrome d'abbandono riesce oggi a trovare un aiuto dalla società, non solo dal punto di vista clinico?
«Il testo, in realtà, esula da questo aspetto. Noi raccontiamo una sindrome di abbandono che può avere vissuto chiunque. C'è un bisogno di aiuto, in ognuno, che, prima di arrivare alla patologia, è del tutto naturale, più o meno forte a seconda del vissuto. Credo comunque che chiedere aiuto sia una delle cose più difficili in assoluto. Se poi ci chiediamo se la società può in qualche modo darci una mano in un mondo in cui si fa fatica a considerare come essere umani le persone che annegano in mare, credo che la risposta sia intuibile».
Lei come riesce a superare il passaggio dal comico al drammatico?
«È una delle caratteristiche di questo spettacolo ma, possiamo dire, della sua intera carriera. Penso sempre a questo lavoro come ad una possibilità di rappresentare la vita, che mescola sempre comicità e dramma, nel modo più verosimile. Alla base c'è comunque il desiderio di rendere universale il messaggio di un testo, cosicché più persone vi si possano riconoscere».
Dunque la difficoltà ad interpretare un ruolo è relativa?
«Sì, perché, nel momento in cui si riesce a penetrare la materia di un personaggio e ad essere aderenti, viene tutto naturale. Tutti, noi, spesso, nella vita, ci ritroviamo a guardarci dal di fuori e a ridere e piangere di quanto ci sta accadendo, perché gli estremi di comico e drammatico si toccano sempre».
E, finito lo spettacolo, quando ritorna alla sua vita giù dal palco, lei riesce ad abbandonare completamente i personaggi che interpreta?
«Bisogna sempre avere chiara la distinzione tra lavoro e vita. Quando mi dicono che io mento per mestiere, sottolineo che la mia non è una bugia, ma solo un gioco. Sul palco propongo una verità, che comunque non è la mia vita. È un'indulgenza, con me stessa, nel provare a vivere in una sorta di bolla, di realtà parallela. Certo, un'interpretazione parte sempre da me. Ma quando finisce, finisce. Poi ci sono ovviamente personaggi che mi lasciano il segno più di altri, perché magari arrivano da luoghi più profondi della mia persona».
Tra quelli della sua carriera, ne ama quindi qualcuno più di altri?
«No. Non potrei dire che il personaggio di Tutti pazzi per amore vale meno della protagonista di Ninna nanna solo perché la prima è una sorta di clown superficiale e l'altra soffre di depressione post-partum. Sono tutti ruoli che mi arricchiscono allo stesso modo».
Marcello Bardini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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