IL REMAKE
L'icona del clown come entità terrorizzante comincia la sua notorietà

Venerdì 20 Ottobre 2017
IL REMAKE
L'icona del clown come entità terrorizzante comincia la sua notorietà proprio con It alla fine degli anni '80, prima con il romanzo di Stephen King (1986) e successivamente con la trasposizione televisiva del 1990 portata sullo schermo da Tommy Lee Wallace. Se Pennywise, il nome del pagliacco kinghiano, è il primo della serie ad avere una buona fama (pensato sull'onda dell'arresto del serial killer John Wayne Gacy, che adescava così le sue vittime), il cinema ha poi sfruttato questa figura in modo più deciso e sensazionale, portandolo a radicale maschera della paura, fino al diabolico, grottesco Capitano Spaulding, innervato dalle storie perverse di Rob Zombie (La casa dei mille corpi e il successivo La casa del diavolo), più terrificante che mai in quanto rappresentante del realismo disturbato di una famiglia scellerata.
Ora Andrés Muschietti, regista argentino famoso per l'horror La madre (2013), porta sullo schermo il remake della versione televisiva, confrontandosi ancora una volta con uno dei romanzi impraticabili di King. Aggiorna l'infanzia dei Perdenti (il gruppo dei ragazzi vessati da coetanei e anche dai propri genitori), a fine anni '80 (e quindi non più '50) e la separa dalla fase adulta, al contrario del romanzo che interseca i due momenti storici dei protagonisti, al pari della prima riduzione tv. Ogni scintilla nostalgica viene dunque ignorata e delegata probabilmente solo agli spettatori che rivedono ricostruito quel mondo di trent'anni fa, soprattutto con una serie di rimandi estetici traboccanti, come d'altronde l'insegna dedicata a un Nightmare suggerisce.
IL MALE
Eccoci dunque a rifare i conti con il Male che torna a farsi vivo ogni 27 anni nella città di Derry, terrorizzando e facendo sparire i ragazzi; ecco dunque ridestarsi la naturalezza dell'adolescenza macchiata dalle ostilità della provincia americana, sia quella di altri adolescenti, la band di piccoli delinquenti, che di adulti capaci soltanto di soffocare la libertà, anche in tema di aggressività sessuale.
AD EFFETTO
Ma Muschietti si limita a redigere un almanacco situazionistico di situazioni malvagie, prediligendo lo choc e l'effetto horror e disperdendo le varie psicologie, i rumori sordi di una società malsana.
Se la crudeltà del clown Pennywise qui è più esplicita, a cominciare dall'incipit con la mutilazione del piccolo Georgie, il film costruisce purtroppo il labirinto emozionale servendosi soprattutto di un abbecedario riscritto perfettamente per lo sguardo d'oggi. In attesa del Capitolo Due, la paura del pagliaccio che ride coverà ancora sulla paura, sul senso della morte e sui corpi non più illesi di una gioventù al capolinea.
Adriano De Grandis
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