IL PERSONAGGIO
C'è un isolotto nella laguna di Caorle, dove fino a qualche

Domenica 22 Luglio 2018
IL PERSONAGGIO
C'è un isolotto nella laguna di Caorle, dove fino a qualche anno fa, i due estremi si toccavano: da una parte uno degli ultimi pescatori, dall'altra l'uomo più potente del Veneto. Maurizio Marchesan, 62 anni, una vita trascorsa a gettare le reti nelle acque interne di Caorle, vive in uno splendido casone che gestisce con amore, immerso in un angolo di paradiso della natura, lungo il canale Nicesolo. Il suo vicino di casone per molti anni è stato l'ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan, che aveva il suo buen retiro tra le barene della laguna nord e usava quel covo per ritrovarsi con gli amici dell'epoca, alcuni sono apparsi alla ribalta della grande retata. Non quella che Marchesan getta ogni notte per pescare cefali e orate, ma quella tessuta dai magistrati che hanno scoperto lo scandalo Mose. Marchesan logicamente vuole star fuori da quella storia, lui di Galan non può che parlare bene: «Un giorno è venuto da me un signore in bermuda con la pancia che debordava - racconta - e si è presentato. Io non l'avevo riconosciuto, mi ha detto che era Giancarlo Galan e che aveva acquistato il casone confinante con il mio. Con lui solo rapporti di vicinato. Ottimo vicinato. Veniva spesso a trovarmi e portava qualche regalo per me e mia moglie, bottiglie di vino e prodotti dell'orto. A volte si fermava a mangiare con me, era gentile. Io gli procuravo il pesce, quando faceva qualche festa».
L'ARRIVO DI BERLUSCONI
Il pescatore non ricorda i nomi degli invitati, si limita a dire che molti li aveva visti in fotografia sui giornali. Una volta è arrivato anche Silvio Berlusconi in elicottero, ma la cena si è tenuta in un altro casone più lontano, verso Brian. Ora casone Galan è in stato di abbandono, ricoperto dalla vegetazione, con il pontiletto di accesso semiaffondato. Non risulta tra i beni sequestrati all'ex governatore. Gode invece di ottima salute casone Marchesan. «Qui prima di me vivevano mio padre Albino e mio zio. Questo lo abbiano rifatto quarant'anni fa, però c'è bisogno di manutenzione continua, ogni anno. Ormai siamo meno di dieci a vivere nei casoni, gli altri, e sono quasi un centinaio, sono in mano a privati che li usano pochissimo. Gente di città che viene per fare una serata con gli amici. Qui la vita è dura, ma mi creda il mio è un mestiere bellissimo, che non cambierei per nulla al mondo. Noi siamo pescatori da cinque generazioni, ma forse la mia sarà l'ultima. A mio figlio ho insegnato a pescare fin da bambino. Se sai pescare non morirai mai di fame. Ma poi l'ho allontanato da questa attività, è diventato geometra».
L'ULTIMO PESCATORE
Marchesan è seduto all'interno del suo casone. Un'unica stanzona con le pareti inclinate a cono rovesciato, al centro un grande focolare in mattoni, in un angolo la branda. Niente camino: il fumo filtra attraverso le canne che rivestono tutte le pareti. Uniche concessioni alla modernità, un pavimento al posto della terra battuta e un ampio mobile da cucina. Alle pareti antichi attrezzi da pesca e vecchie foto di un mondo che non c'è più. È un balzo indietro nel tempo, che tanto piace ai turisti che d'estate arrivano in gita con i bragozzi e approfittano dei piatti che vengono serviti in tanti casoni. Una sorta di abusivismo consentito, quasi regolamentato con leggi non scritte, ma applicate scrupolosamente, per il quieto vivere di tutti. Una questione che fa infuriare Marchesan: «Siamo abbandonati dalle istituzioni comunali. La Regione dà la possibilità di praticare l'ittiturismo, come l'agriturismo in campagna. Il Comune ci ha già fatto fare due volte i corsi di formazione, ma non sono state assegnate le licenze. E allora tutti lo fanno abusivamente. Nella laguna di Caorle la legge non esiste. Lo sa che il 70 per cento dei pescatori occasionali sono abusivi, senza licenza. Ma non c'è nemmeno un cartello che indichi il divieto. E comunque vigili che controllino non se ne vedono: questa è terra di nessuno. Inutile vantarsi che questa è la laguna di Hemingway. Lui si è fermato qui perché era un paradiso, ma noi dobbiamo difenderlo. Non sono contro il turismo. Anzi sono loro che ci danno da vivere, però servono regole e rispetto. Basta con le super motonavi che danneggiano le rive e i fondali. La laguna va amata».
INNAMORATO TRADITO
É lo sfogo di un innamorato tradito. Marchesan vive in simbiosi con la laguna e vorrebbe proteggerla. É fonte di vita e benessere per tutti, basta non sfruttarla troppo. «In laguna comandano l'acqua e la luna, sono loro che decidono il ritmo della nostra vita». Le reti si gettano quando le condizioni sono propizie, in genere nel cuore della notte.
«Ma c'è soddisfazione - assicura con orgoglio - quando va bene si torna a casa con due o trecento chili di pesce. Il pescato di laguna, passera, anguilla, branzino, cefalo, orate, è molto richiesto, e queste acque sono tornate ad essere generose. C'è molta più responsabilità anche tra noi pescatori. Una volta si mandava tutto al mercato per fare soldi, ora i pesci piccoli si gettano in acqua e con il novellame andiamo cauti: è il nostro futuro. Il pesce non manca. Purtroppo si stanno diffondendo i siluri, bestie che arrivano a cento chili che sono estremamente voraci e non hanno nemici naturali, anche perché non sono buoni da mangiare. Un vero flagello per noi pescatori, se uno finisce nella rete, distrugge tutto. Meglio coparlo in aqua».
UN PICCOLO REGNO
Marchesan mostra con soddisfazione il suo piccolo regno. Tutto è in ordine, le reti sono appese ad asciugare, il pesce pescato è ancora vivo nelle nasse immerse nell'acqua, pronto per essere venduto al mercato o a qualche ristorante. Tutto sembra in armonia, una natura bucolica e apparentemente incontaminata. Ma questa è un'eccezione. «Questa è una cultura - dice - che rischia di perdersi. Eppure ci sarebbe lavoro per tutti. Servono però leggi che ci tutelino, se siamo dei panda andiamo preservati. Noi e i casoni. Ma lo sa che adesso vengono gli ungheresi a rifare la struttura esterna. Ditte ungheresi che stanno cambiando la tipologia, intrecciando la paglia con il loro stile. Non si trova più nemmeno chi sa restaurare un casone». É un grido di dolore, un appello agli stessi caorlotti: «Gli ultimi tre sindaci erano figli di pescatori, ma nemmeno loro hanno fatto molto». Poi l'ultima frecciata al veleno: «Forse siamo troppo pochi e portiamo pochi voti. Però in tutti i manifesti che pubblicizzano Caorle nel mondo ci sono le fotografie dei casoni. Non vorrei che restassero solo le foto».
Vittorio Pierobon
(vittorio.pierobon@libero.it)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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