IL LIBRO
Dice che probabilmente il suo destino era scritto nel suo nome (Isaia)

Mercoledì 18 Luglio 2018
IL LIBRO
Dice che probabilmente il suo destino era scritto nel suo nome (Isaia) più che nel suo cognome (Beldì). Anticipatore, visionario e, da buon profeta, non sempre amato in patria, più che un banale buongiorno ha portato un vero terremoto: nei suoi Cinquant'anni al servizio dei lavoratori, da cui il titolo del suo libro di memorie appena dato alle stampe, l'ex sindacalista vicentino di nascita e trevigiano di adozione ha chiuso qualcosa come 967 accordi integrativi aziendali, ai quali vanno aggiunte le intese territoriali e le vertenze individuali. In tutto mille e passa storie, un documentato e appassionante spaccato dell'evoluzione economica e occupazionale del Veneto, in cui spicca il contratto in assoluto più originale: quello che giusto mezzo secolo fa disciplinò il Trattamento economico dei sacristi, per citare il titolo del decreto vescovile con cui monsignor Albino Luciani, futuro papa Giovanni Paolo I, per la prima volta nella bimillenaria storia della Chiesa riconobbe retribuzione e ferie, festivi e tredicesima anche ai sacrestani.
LE PARROCCHIE
Dalla trattativa alla firma, la svolta maturò fra il 1968 e il 1969. Ma le prime avvisaglie apparvero già all'inizio del decennio, dopo il leggendario sciopero dei quaranta giorni alla Zoppas, attuato fra novembre del 1960 e maggio del 1961. «Venne a parlarmi un operaio metalmeccanico ricorda Beldì e mi disse: visto che abbiamo vinto in fabbrica, perché non proviamo a lottare anche in parrocchia? Mio zio, sacrestano a San Fior di Sotto, non ha diritti...». E come lui, tutti gli altri, pagati «neanche in nero, se non con qualche mancia a Natale o a Pasqua, ma direttamente in natura: uova, pomodori, galline, vino», rammenta l'ex dirigente sindacale, che per questo cominciò a condurre una raffica di conciliazioni tra i sacerdoti e i loro collaboratori. «Riuscii a non arrivare mai in Pretura sottolinea non so neppure io come, dato che avevo a disposizione solo qualche norma del codice civile, gli usi e i costumi di antica memoria giuridica, la mia fantasia sindacale.
LA STORIA DELLA FARAONA
Ma la cosa funzionava, tanto da arrivare a mettere in difficoltà i preti, spesso anziani e poveri, che per questo andavano a battere cassa in curia». Finché un giorno l'allora vescovo Luciani convocò don Candido Martin, parroco di Miane e suo fidato consigliere, per conferirgli il mandato di procedere: «Chiamate questo Isaia della Cisl di Conegliano e fate l'accordo». Decisiva fu la riunione del 10 novembre 1968: alle 2 di notte sul tavolo fu servita la faraona offerta dal farmacista del paese, per festeggiare l'intesa che prevedeva fra l'altro l'inquadramento in tre categorie degli addetti al culto, l'introduzione degli assegni familiari sulla falsariga di quelli delle industrie, l'attivazione degli scatti di anzianità e la previsione dell'indennità di licenziamento, poi estesi dalla diocesi di Vittorio Veneto anche al resto del territorio regionale e nazionale. «Mancava ancora un anno all'autunno caldo del 69 sottolinea Beldì ma stavamo già anticipando una serie di princìpi poi entrati nella contrattazione nazionale». E pure nell'atto con cui monsignor Luciani, motu proprio, il 17 gennaio 1969 sancì formalmente che era arrivato il momento di trasformare i salami in lire, «secondo criteri di giustizia quali le stesse leggi civili prescrivono e la Chiesa per suo dovere proclama e difende».
LO STATUTO
Non meno epico è il racconto del ricorso che, nel 1970, portò alla prima applicazione dello Statuto dei Lavoratori: legge entrata in vigore il 28 maggio in Italia, sentenza emessa dal pretore Alberto Taglienti il 23 giugno a Conegliano. «La giovane Maria Teresa Zanchettin, operaia della tappezzeria Pol di San Vendemiano, aveva partecipato allo sciopero provinciale del settore legno spiega Beldì, già segretario regionale della Filca Cisl, sigla appunto dell'arredo oltre che delle costruzioni e per tutta risposta si era vista comminare una sospensione per assenza ingiustificata». Due settimane dopo, altra astensione organizzata e altro provvedimento disciplinare, ma questa volta al grado massimo: licenziamento per recidiva.
BATTAGLIE & PICCHETTI
«A quel punto chiedemmo l'intervento della magistratura contro la grave azione di repressione antisindacale», aggiunge l'ex dirigente, che nel volume da oltre 800 pagine ha riprodotto il provvedimento scritto a macchina con cui per la prima volta nel Paese veniva disposto il reintegro di una lavoratrice rimossa senza giusta causa. «Magari non così estreme osserva l'autore ma in quegli anni le situazioni di lesione dei diritti erano comunque molto diffuse. Aziende che pretendevano di tenere anche 150 dipendenti, di solito ragazze, come apprendiste addirittura per quattro o cinque anni, nel tentativo di ridurre al minimo i salari. Imprenditori che alle assemblee ci aizzavano contro i cani, o che ai picchetti ci puntavano contro il fucile, o che negli scioperi ci tiravano contro le tegole. E poi il fenomeno del nero senza contributi, la disciplina quasi militare sulle donne che svolgevano mansioni pesanti, l'utilizzo di materie prime tossiche». Rileggendo al tempo della crisi e del precariato questa storia lunga cinquant'anni, in cui si intrecciano anche i contrasti con la Cgil e i veleni interni alla Cisl, ma si incontrano pure pagine positive come l'intuizione della previdenza complementare attraverso la costituzione del Fondo Solidarietà Veneto, sorge spontanea una domanda: ma alla fine, la battaglia è stata vinta? «Allora per allora, sì», risponde d'istinto Isaia Beldì, nato sotto il fascismo e cresciuto con un anelito di libertà e democrazia che ora gli fa dire, con la modestia di sempre: «Ho dedicato tutta la mia vita all'emancipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, ai quali chiedo scusa se non sono stato capace di fare di meglio e di più».
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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