Il boia Mladic, giustizia è fatta

Giovedì 23 Novembre 2017
Il boia Mladic, giustizia è fatta
LA CONDANNA
Gli hanno dato un ergastolo, uno solo. Ma qualunque pena è troppo breve, ha detto una donna sopravvissuta alla strage. È l'ultima condanna emessa da un Tribunale che adesso potrà autosciogliersi: il Tribunale internazionale dell'Aja per i crimini di guerra. Ratko Mladic, 75 anni, il macellaio di Srebrenica, finirà i suoi giorni in carcere. «È l'incarnazione del male, ma non è sfuggito alla giustizia», ha concluso il responsabile dei diritti umani all'Onu.
Ci sono voluti più di vent'anni per una sentenza, sedici Mladic li ha trascorsi in latitanza, prima nascosto nei vecchi bunker antiatomici costruiti nell'era di Tito, poi in una comoda casetta a pochi chilometri da Belgrado. Passeggiate e partite a ping-pong, come un pensionato qualsiasi. Così ben camuffato che quando lo hanno arrestato su segnalazione anonima - c'è voluta la prova del Dna per avere la certezza che quel signore che avevano di fronte era proprio il boia.
SCOVATO CON IL DNA
La stessa prova del Dna che ha permesso di condannare Mladic come colpevole e responsabile di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità. È stato il generale serbo-bosniaco a ordinare il massacro di oltre ottomila musulmani bosniaci e a comandare i bombardamenti sulla popolazione civile di Sarajevo. Accarezzava i bambini e poi ne faceva uccidere i padri. È lui che per i bosniaci musulmani e per i croati resta un mostro da condannare a morte e per i serbi di Bosnia è sempre il nostro eroe. In Vojvodina si vendono magliette e spille col suo volto e un pope da poco ha benedetto una via intitolata al Generale Ratko Mladic.
IL BOIA DI SREBRENICA
Lui ha vissuto finora molto più della maggior parte delle sue vittime: 8372 uomini massacrati a Srebrenica e altri diecimila civili macellati a Sarajevo da cannonate e dai cecchini. Lui ha avuto una latitanza pari a quella di Eichmann, ma una sentenza finale decisamente diversa.
Ora dice che è vecchio e malato e presenterà appello. La figlia Ana si è uccisa a vent'anni, forse per l'orrore di quello che aveva scoperto; il figlio Darko si è recato all'Aja a capo di un gruppo di irriducibili nazionalisti.
La storia di Mladic affonda nelle guerre di secessione che all'alba degli Anni Novanta del Novecento hanno dilaniato la ex Jugoslavia. Tito aveva lasciato uno stato federale, ma le grandi divisioni erano soltanto sopite sotto la coperta del comunismo e della grande personalità del dittatore. Di colpo i nazionalismi si sono svegliati: il breve conflitto per la secessione della Slovenia, quello più lungo per la Croazia e il terzo, il più devastante, quando la Bosnia-Erzegovinia si schiera contro la Jugoslavia di Milosevic diventata uno stato centralista dominato dai serbi croati.
LA STRAGE
È una guerra che diventa di giorno in giorno più violenta, costerà 100 mila morti e due milioni e mezzo di sfollati. L'Onu interviene con pochi mezzi e solo a protezione di luoghi a rischio, come l'enclave musulmana di Srebrenica affidata a un contingente di baschi blu olandesi. Il mandato delle Nazioni Unite è volutamente ambiguo, impedisce di distinguere tra aggrediti e aggressori, declassa una guerra vera e propria a un conflitto interetnico. L'11 luglio 1995, dopo un assedio durato quasi tre anni, Mladic ordina l'attacco finale contro i 40 mila civili musulmani di Srebrenica, metà sono profughi. Migliaia di civili chiedono rifugio nella sede dei baschi blu e i soldati, anziché accoglierli, li consegnano ai serbi. Potrebbero intervenire i bombardieri della Nato, anche se Milosevic ha minacciato rappresaglie, ma il tutto si riduce in un passaggio senza danni e con la constatazione che gli aerei sono tornati indenni alla base.
LE COMPLICITÀ
I baschi blu non intervengono nemmeno quando i soldati di Mladic dividono gli uomini dalle donne e dai bambini che possono allontanarsi, neppure quando sono costretti ad andarsene. La tragedia di Srebrenica perseguiterà per sempre la nostra storia, dirà anni dopo il segretario generale dell'Onu Kofi Annan ammettendo le responsabilità.
Quello che i baschi blu olandesi non vedono o non vogliono vedere è il più grande massacro di civili dalla Seconda guerra mondiale. Mladic, che è il boia fidato di Milosevic, fa raccogliere tutti gli uomini, 8372 tra adolescenti e maturi e vecchi, e li fa ammazzare uno per uno. Scientificamente: un colpo alla nuca o una raffica di mitra, poi i corpi gettati in fosse comuni. Pulizia etnica, odio razziale, come i nazisti avevano saputo fare.
LA NORIMBERGA DEI BALCANI
Nel Memoriale e cimitero di Potocari, alle porte di Srebrenica, oggi sono sepolti i resti di 6575 vittime della strage tutti esumati e tutti identificati soprattutto attraverso il Dna dei familiari. Quello che è accaduto nella cittadina è la cosa più vicina alle stragi naziste. Anche per questo il processo appena concluso è stato ribattezzato la Norimberga dei Balcani.
Allo Yad Vashem, il museo dell'Olocausto di Gerusalemme, colpisce una fotografia enorme che mostra un soldato tedesco che, ad Auschwitz, punta il fucile alla nuca di una donna che stringe un neonato tra le braccia. C'è freddo, il soldato è ben coperto da un pesante cappotto, la donna è nuda, i piedi poggiati sull'orlo di una fossa, in bilico tra la vita e la morte. Come migliaia in bilico sulle fosse comuni di Srebrenica.
SARAJEVO MARTORIATA
I giudici hanno riconosciuto Mladic colpevole anche della morte di migliaia di civili di Sarajevo. Tanti sotto i bombardamenti che hanno raso al suolo la città delle Olimpiadi invernali del 1984. Tanti ammazzati dai cecchini che sparavano sui passanti con fucili di precisione. Era il Viale dei cecchini, anche se si chiamava la strada del dragone di Bosnia. I cecchini erano pagati a numero di vittime causate, perché quello era il modo di seminare il panico, di non far sentire nessuno al sicuro. Morte per chi giocava a palla, per chi tornava a casa con la spesa fatta alla borsa nera, per chi aveva il cane al guinzaglio.
L'EPILOGO
A distanza di tanti anni è arrivata finalmente la sentenza che denuncia la realtà di quei giorni drammatici nella ex Jugoslavia. Oggi è un altro Paese, anzi sono altri paesi diversi, entrati anche nell'Unione Europea. Il passato è vecchio solo di vent'anni, ma sembra lontanissimo. Una generazione è nata e cresciuta senza aver mai visto l'uomo dell'orrore, forse ne sentirà parlare oggi per la prima volta, perché i dolori si tengono stretti quando sono così profondi. Ma i resti di migliaia di vittime sono ancora dispersi nei boschi non lontano da Srebrenica che aveva un nome che evoca sogni: miniera d'argento. Dopo il passaggio di Mladic non sono rimasti sogni.
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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