Huppert insuperabile tra desiderio e violenza

Sabato 25 Marzo 2017
Huppert insuperabile tra desiderio e violenza
Aggredita e violentata in casa, Michèle, capo di una produzione di videogiochi, si comporta in modo anomalo: non va alla polizia, ne parla con gelido distacco agli amici più intimi cercando di superare il trauma, anche se lo stupratore, che lei tenta di individuare nella cerchia delle conoscenze, inizia a perseguitarla.
Il prodigioso ritorno dell'olandese Paul Verhoeven a 10 anni da Black book, se si esclude la parentesi del mediometraggio Steekspel (2012), pone il corpo di Isabelle Huppert, più che mai strepitosa e si direbbe qui necessaria come nessun'altra attrice, nel mezzo di una sarabanda di personaggi e situazioni deliranti, di sarcasmo tragicomico. Personaggio eccentrico, Michèle ha un'anziana madre altrettanto singolare, che annuncia, come la più spregiudicata milf, di voler sposare al più presto il suo toy boy; e un padre, che anni prima aveva compiuto una spaventosa strage, condannato all'ergastolo. Ha un ex marito al quale sfascia con noncuranza il paraurti dell'auto; e un figlio, che si comporta come un idiota: non riesce a mantenersi, si innamora di ragazze sbagliate e diventa padre di un bambino di colore (esilarante la scena della scoperta); e dei vicini di casa apparentemente innocui: lui sembra avere un'attrazione per Michèle, mentre la moglie è tutta casa e chiesa.
Verhoeven forse non è mai stato così feroce. Ritrova l'indole dissacrante e spregiudicata, quella che ci ha fatto amare i suoi Spetters, Il quarto uomo e Basic instinct, impasta la carne e il sangue con beffarda lucidità, spoglia la borghesia di ogni alibi comportamentale, la inchioda al proprio carosello di perversioni e ipocrisie tra desiderio e violenza, fervente cattolica e al tempo stesso attratta dal sadomasochismo degli affetti e degli appetiti erotici.
Al centro si muove Lei come da titolo: è una donna in carriera, dal passato fanciullesco traumatico (la strage del padre), apparentemente sicurissima di sé, dominante negli affetti e nel lavoro, cinica verso tutto e tutti, alla fine anche verso il suo aggressore, con il quale poi ingaggia l'ennesima liaison esplosiva. Un personaggio imperdibile per Verhoeven, stella polare di un ingranaggio narrativo spiazzante e spietatamente crudele nel descrivere le relazioni tra i personaggi. Non si salva nessuno: emerge solo la spaventosa mostruosità di una società borghese, che fonda le sue certezze su regole sistematicamente tradite da tutti senza rimorsi.
Non cercate qui sensi di colpa. Tratto dal romanzo Oh di Philippe Dijan il film, anche agli occhi magnetici del gatto di Michèle testimone dello stupro, è al contrario un'azzardata, perfida black-comedy sempre sul crinale dello svaccamento. Geniale capolavoro.
© riproduzione riservata

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci