Gli inviati, Mussolini e la guerra

Domenica 22 Luglio 2018
Gli inviati, Mussolini e la guerra
IL LIBRO
In copertina c'è la fotografia di uno dei più noti corrispondenti di guerra durante il fascismo, Luigi Romersa. Scriveva dal fronte africano per il Corriere della Sera e per Il Messaggero, divenne famoso negli anni di Salò perché Mussolini gli aveva chiesto di scoprire la verità sulle armi segrete di Hitler. Forse ha visto la possibile atomica con la svastica; certo ha conosciuto Von Braun del quale è rimasto amico anche quando lo scienziato tedesco ha diretto il programma spaziale americano. Nella fotografia Romersa è un trentenne in divisa di tenente, chino su una macchina per scrivere, nel deserto, ai piedi di un carrarmato. Batte, come tanti giornalisti, con due dita.
Quando qualche anno fa ho sostenuto gli esami di stato per diventare giornalista, il commissario più brillante e curioso era Luigi Romersa, un sessantenne con i capelli tutti bianchi e folti, la cravatta di un solo colore sulla camicia candida. Era la dimostrazione di come gli inviati di guerra del tempo fascista si fossero tranquillamente trasformati negli inviati di pace del tempo della Repubblica.
SGAMBETTI E CONSENSO
Fabio Fattore, 50 anni, redattore de Il Messaggero, giornalista attento alla storia, dedica un lavoro importante e documentato ai corrispondenti di guerra tra il 1940 e il 1943: Gli inviati di Mussolini (Mursia, 19 euro). Si chiede: le grandi firme furono vittime del regime o complici o perfino fiancheggiatori? Non cerca risposte facili, da studioso attento e da narratore efficace esamina la complessità del controllo della stampa da parte del regime. Affonda tra i vecchi, soliti vizi dei giornalisti che litigano, si fanno i dispetti, si sgambettano per trasmettere per primi, scrivono ai direttori per avere la prima pagina, più soldi, un'automobile, benzina e vestiti. C'è chi soffre di non poter raccontare ciò che vede, chi si barcamena, chi si propone docilmente servile. In gran parte, però, i giornalisti non fanno ciò che si aspetta da loro il regime: fare accettare agli italiani anche la guerra. Non sono utili alla propaganda, non riescono a far capire agli italiani cosa sta realmente accadendo. Mussolini si era ispirato al modello tedesco della propaganda, il piano PK, giornalisti-soldati da schierare in prima linea.
LA PROPAGANDA
I giornalisti italiani devono indossare la divisa, portare un grado e destreggiarsi tra ordini e divieti mentre non si capisce bene chi comanda: l'autorità politica tramite il Minculpop o quella militare tramite il Comando supremo? Ma anche i ministeri della Guerra, della Marina e dell'Aeronautica vogliono dire la loro e pure i direttori dei giornali vorrebbero contare. Mussolini ha le sue idee, il ministro Pavolini altre e diverse. Predicano sobrietà, ma bloccano gli articoli senza retorica. Non vogliono che i giornalisti mandino corrispondenze tutti i giorni, alla fine i quotidiani pubblicano quasi esclusivamente servizi particolari scritti in redazione con notizie fornite dai ministeri. Non possono nemmeno informare che qualcuno di loro è caduto in combattimento.
RACCONTARE LA GUERRA
Raccontare la guerra agli italiani spesso è impossibile. Nel libro si incontrano giornalisti rinchiusi in campi per settimane, costretti a trucchi per avvicinarsi al fronte, comprare vecchie auto per vedere da lontano una battaglia.
Colpisce nella serrata ricostruzione di Fattore che i tanti nomi citati siano gli stessi che si ritroveranno nella stampa repubblicana: Indro Montanelli, Orio Vergani, Domenico Bartoli, Paolo Monelli, Vittorio Gorresio, Luigi Barzini, Curzio Malaparte Non mancano i veneti, compresi due corrispondenti del Gazzettino: Enzo Duse accreditato per la Marina; Nino Cantalamessa che lascia la direzione per seguire la campagna di Russia.
In primo piano il bellunese Dino Buzzati, 34 anni, che scrive per Il Corriere della Sera, imbarcato come tenente di fanteria: è l'unico a raccontare la tragica battaglia di Capo Matapan; i suoi ultimi servizi sono pubblicati nell'agosto 1943, dopo la caduta di Mussolini. Anche il veneziano Cesco Tomaselli, 50 anni, scrive per il Corriere, è sul fronte russo, racconta meglio di tutti la ritirata. Il friulano Bruno D'Agostini scrive per Il Messaggero dal fronte africano. Lino Pellegrini, trevigiano, quarantenne, è compagno di Curzio Malaparte in viaggi avventurosi al seguito dell'invasione tedesca della Russia e Malaparte lo ricorderà nelle pagine di Kaputt. Pellegrini ha scritto sul Gazzettino, sino alla morte nel 2013.
Una citazione per il vicentino Leone Concato, pilota della Regia Aeronautica, molte missioni compiute e raccontate per l'agenzia di stampa del regime. A guerra finita si è dedicato all'industria degli elicotteri, è morto nel 1973 a seguito di un sequestro di persona finito male nella sua villa sulla Costa Smeralda.
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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