Gino Rossi il poeta del colore

Domenica 18 Febbraio 2018
LA MOSTRA
Vicini e parlanti, proprio come un tempo, quando a Parigi, al Salone d'Automne del 1912, Arturo Martini e Gino Rossi presentarono al mondo le loro fanciulle. Una fanciulla piena d'amore, metafisica testa in gesso che sembra racchiudere il mondo nello sguardo, e una struggente fanciulla del fiore capace di illuminare la tela con i suoi azzurri. Ora Arturo Martini e Gino Rossi tornano a duettare da vecchi amici nelle stanze del Museo Bailo di Treviso, dove ieri si è aperta una suggestiva retrospettiva dedicata «al poeta del colore e della vita lacerata». Un Omaggio a Gino Rossi curato da Marco Goldin nell'ambito di un grande progetto espositivo nel nome di Rodin che prenderà vita la prossima settimana negli spazi rinnovati di Santa Caterina (inaugurazione il 23). Un progetto in grado di trasformare Treviso non tanto nella capitale della cultura 2020, il trofeo se l'è aggiudicato Parma, ma «in capitale della scultura» (parole del sindaco Manildo) partendo proprio dal genius loci Martini e dall'ampia collezione di opere, quasi 140 tra terrecotte, gessi, sculture in pietra, bronzi, disegni, pitture e ceramiche custodite al Bailo. Dopo tutto, è proprio grazie a Martini che Marco Goldin è riuscito a convincere la curatrice del Museo Rodin di Parigi a prestargli le sculture che sta ora disponendo a Santa Caterina. Ed è sempre con le creature di Martini che le opere di Gino Rossi entreranno in relazione, in un'ideale sintonia di intenti tra due artisti che condivisero viaggi di studio, esposizioni, sguardi fuori dagli schemi. Compreso l'anno della morte, il 1947. «Volevo provare a raccontare l'anima di un pittore, l'azzurro del suo cielo, i suoi occhi davanti al mare», spiega Goldin. Uscendo dalla biografia tormentata di un uomo che chiuse la sua vita nel manicomio di Treviso, e anche dal «difetto delle fonti» indicato Alessandro del Puppo, uno dei massimi studiosi di Rossi, nel catalogo che accompagna l'esposizione: «Quel poco che si sa di Gino Rossi è tutt'altro che certo».
IL PERCORSO
Ecco allora che le dieci tele di Gino Rossi già custodite al Bailo - tra cui Donnina allegra, Natura morta con ventaglio, Padova, il santo, Primavera in Bretagna - aprono il percorso nell'arte di questo «pittore dimenticato in vita quanto in morte, affidato solo ai suoi quadri». Che sono pochi, poco più di un centinaio, «tutti necessitati da uno strazio prima felice e poi disperato» osserva Goldin nel catalogo che accoglie anche i saggi di Andrè Caroiu (La Bretagna di Gino Rossi) e di del Puppo (Finzione e realtà). Ai dieci del Bailo si affiancano altri otto dipinti che il curatore ha ottenuto dai collezionisti privati e collocato in una sala al primo piano del museo. Tra questi Il Muto e le Case di Burano, chiesti in prestito anche da Ca' Pesaro per la mostra Gino Rossi a Venezia che si aprirà la settimana prossima in laguna. «Una coincidenza creativa» sorride Goldin, «noi possiamo contare su uno straordinario legame tra Rossi e Martini». «Che sono sempre stati vicini al Bailo - gli fa eco il direttore dei musei civici trevigiani Emilio Lippi - anche se mai così... parlanti».
IL LEGAME
Ecco allora che l'olio su cartone Testa creola di Gino Rossi sembra indicare la fanciulla piena d'amore di Martini che troneggia nella sala di fronte: «Questo è un dipinto dalla storia particolare - racconta il curatore - in quegli anni (1913) Rossi era ricoverato al manicomio del Sant'Artemio e gli amici, in particolare Comisso, cercavano di fare qualcosa per lui, vedendo qualche quadro. Si misero d'accordo con il direttore del Casinò di Sanremo, ma l'opera, quando arrivò, non piacque, non rispondeva a quello che era stato proposto loro. Così, pensando si trattasse di un errore, venne rispedita indietro». «Solo un esempio, non l'unico - spiega poi Goldin nel catalogo - dell'incapacità di vedere. Eppure tutto intorno il mondo era cambiato da tempo. Ma un pittore che non aveva scelto nè di stare con i futuristi nè con la metafisica faticava a ritagliarsi una sua strada».
In mostra anche Il bevitore, olio su cartone datato 1913, che appartiene alla famiglia Casorati sin dall'inizio. E il rarefatto Case a Burano (1910) che rinnovò la tradizione veneziana della veduta. Da non perdere poi il potentissimo San Francesco del deserto, anno 1912-1912, il dipinto preferito di Goldin, sorta di «Thaiti davanti a San Marco» con quei blu e verdi intensi che accendono gli occhi, affiancato dal più delicato La piccola parrocchia (Pagnano), un olio su cartone che ha stregato il sindaco Manildo e l'assessore alla cultura Franchin. «Uno dei suoi più bei dipinti sulle colline asolane - chiude Goldin - per la sua capacità di interpretare l'atmosfera di un ambiente».
Chiara Pavan
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