Gholam: la fuga dal mio inferno

Lunedì 19 Marzo 2018
LA STORIA
Lo sguardo buono e il sorriso sempre stampato sulle labbra. L'aria umile, ma fiera, di chi si è conquistato col sacrificio tutto ciò che ha. È vestito elegante, quando parla cita spesso Leopardi, Pascoli e soprattutto Pirandello, il suo scrittore preferito. Guardandolo, a nessuno verrebbe in mente che ha conosciuto l'inferno, la morte. Che a dieci anni ha visto il padre ucciso dai talebani e, così piccolo, ha deciso di fuggire. Che è stato picchiato e rinchiuso in prigione, che ha affrontato il mare a bordo di un gommone. Che ha dovuto soffrire, lottare fin da quando era bambino. Oggi ha due lauree e fa lo scrittore. Gholam Najafi è così: un ragazzo capace di stupire e far riflettere. Un moderno Ulisse con una vita che racchiude in sé tante esistenze. La prima comincia in un villaggio afghano, nella regione di Ghazni. «Vivevamo una vita molto semplice ricorda Gholam - una vita contadina. In una terra che io definisco vergine». Poi la guerra stravolge tutto. «Siamo stati costretti ad abbandonare le nostre case e trovare rifugio nelle grotte o in altre città, per salvarci. Intanto aumentava l'emigrazione verso il Pakistan e l'Iran».
LA SECONDA VITA
E qui ha inizio la seconda vita di Gholam. Un'odissea fatta di chilometri macinati a piedi, di botte e carcere. «Il nostro villaggio era fuori dal controllo del governo centrale, era lontano. Non avevamo documenti di identità. Quindi, quando si fuggiva, bisognava per forza farlo clandestinamente, pagando i contrabbandieri. Io sono stato rimpatriato due volte al confine tra Pakistan e Iran e sono finito in prigione. Ti trattavano in modo davvero disumano. Vivendo da clandestino, non eri nessuno, non avevi alcuna tutela». Per pagare i contrabbandieri, in Iran Gholam lavora cinque anni come muratore. La sera frequenta una scuola coranica: «L'unica che ho trovato». Poi Turchia - «anche qui sono stato in prigione e mi hanno picchiato. È successo a me come a centinaia di altri» -, Grecia, Bulgaria e infine l'Italia, al parcheggio merci di Porto Marghera, nascosto sotto a un camion.
L'ARRIVO IN ITALIA
In Italia la terza vita. «Avevo sedici anni. Dovevo imparare l'italiano. La lingua è fondamentale per apprendere le regole del Paese che vuoi rispettare e dove vuoi costruire il tuo futuro». Gholam trascorre due anni in un centro accoglienza. Poi la famiglia Fusaro, di Murano, decide di accoglierlo con sé. Il ragazzo studia, si diploma e si iscrive a Ca' Foscari, dove in soli due anni si laurea in Lingua, Cultura e Società dell'Asia e dell'Africa Mediterranea. Si mantiene agli studi facendo il portiere di notte in un albergo di Venezia e dopo altri due anni ottiene una seconda laurea in Lingua, Politica ed Economia dei Paesi Arabi. Nel frattempo torna in Afghanistan tre volte, per cercare la madre, senza fortuna. «La nostra casa è stata distrutta, così come la tomba di mio padre. La nostra società è cambiata completamente e non tornerà più ad essere quella che io chiamavo la terra vergine. Ora c'è il consumismo».
Nel 2016 Gholam pubblica un libro dove racconta le sue vicende: Il mio Afghanistan. «Ma il titolo che volevo io era Il pastore dell'Asia che viaggia in Europa - precisa -. Non volevo vergognarmi di aver fatto il pastore. Il pastore è un educatore del suo gregge». A ottobre, invece, uscirà la sua seconda opera, Il tappeto afghano. «Voglio dare testimonianza delle tradizione perdute della mia terra. Il mio sogno è quello di aprire una biblioteca per i bambini. Se fosse possibile, tornerei in Afghanistan, ma anche qui non sarebbe male. L'Italia è la mia seconda patria».
Simone Tormen
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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