Disperso in Russia Il nonno racconta

Lunedì 22 Gennaio 2018
IN PALCOSCENICO
Uno spettacolo teatrale per raccontare un'assenza e per sanarne il dolore. Un lavoro emotivamente forte, che sullo sfondo ha una guerra mondiale, ma in primo piano le vicende di una famiglia segnata da una perdita incolmabile. Giovanni Betto racconta così la genesi di Neve, lo spettacolo per la regia di Mirko Artuso che sabato 27 gennaio torna in scena all'Auditorium Battistella-Moccia di Pieve di Soligo.
SPETTACOLO INTIMO
Neve è uno spettacolo intimo, percorso dalla voce dell'anima di un nonno dato per disperso nella campagna di Russia del gennaio 1943. Dalle foto di famiglia, e in particolare da quella dell'avo disperso, scaturisce il dialogo a una sola voce col nipote presente in scena. «Questo lavoro nasce - spiega Betto - da un percorso lungo che c'entra con la vita e un po' meno con il teatro, anche se facendo io teatro sta cosa ha spinto ed è uscita. Nasce dall'esigenza personale di buttar fuori una roba che banalmente potrei chiamare dolore e che - ho scoperto - quando non lo si butta fuori fa più male». Quanto c'è di autobiografico? «C'è molto di autobiografico. La mia storia familiare è segnata dalla figura assente di un nonno disperso in Russia nel gennaio 1943. Per la precisione, la data in cui è stato dichiarato disperso è il 21 gennaio 1943, e il 21 gennaio è anche il giorno del mio compleanno. Al di là di questa coincidenza, l'uomo sparisce e non torna né un corpo né un documento o un oggetto né alcuna notizia. Rimane solo un gran buco e nessuno lo riempie».
IL NONNO DISPERSO
Un dolore che coinvolge tutti: «Mia nonna - ricorda Betto - subisce in qualche modo questa cosa e si lascia sopraffare da un dolore che poi si trasmette nella famiglia. E alla fine io, dopo due generazioni, decido di farne qualcosa. Da qui nasce l'idea di scrivere un testo che inizialmente è un corto teatrale pensato con Giorgio Sangati per due personaggi, poi con Mirko Artuso si è scelta la forma del monologo». Un escamotage per limitare il dolore. «Sì, direi di sì. Io scrivo lo spettacolo perché ho un percorso mio, che mi fa intuire l'importanza di raccontare il dolore. È una sorta di costellazione familiare fatta davanti al pubblico. E uno spettacolo emotivo».
LA STORIA DAVANTI
Nello spettacolo il nonno disperso non muore, ma sceglie di non tornare. «Nello spettacolo c'è una finzione. Io costruisco a mio nonno una vita dopo il gennaio '43, mi invento una sua vita da non-morto. E gli faccio raccontare al nipote (che sarei io), cosa è successo dopo quel 21 gennaio e perché è sopravvissuto e ha scelto di non tornare. Sceglie la vita anziché la morte, si scopre regredito allo stato di adulto-bambino e segue solo i bisogni primari: fame, sete, amore. Non vuole più pensare o ragionare ed essere intelligente». Un'atmosfera consolatoria, quindi. «Intanto mi serve come elemento di finzione per scrivere la storia. Però anche perché quest'uomo disperso è stato oggetto di fantasie da parte dei familiari, non essendo tornato nulla nemmeno un documento. Nei documenti mia nonna era presunta vedova di presunto morto e magari si è fatta delle fantasie. Poi magari io preferivo il lato vitale, rispetto a quello semplice della morte. Certo se questa fosse stata la verità, avrebbe comportato un grande dolore per chi attendeva il ritorno, ma chi è rimasto a casa non ha mai saputo nulla». E c'è la guerra sullo sfondo. «Essendo una guerra - aggiunge Betto -, è uno sfondo molto pesante e proprio perché pesante mi consente di giustificare l'uomo nella scelta che ha fatto».
Giambattista Marchetto
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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