«Con il nostro dialetto ci capiscono ovunque»

Lunedì 23 Luglio 2018
«Con il nostro dialetto ci capiscono ovunque»
L'INTERVISTA
Carlo e Giorgio alla conquista dell'Italia. Carlo D'Alpaos e Giorgio Pustetto sono due cinquantenni, veneziani di Murano. Da venticinque anni fanno ridere mezza Italia facendo il pieno nei teatri, uno spettacolo ogni due giorni, adesso vogliono sbarcare nell'altra metà. La loro comicità è partita dalla lingua veneta per approdare, attraverso percorsi di mescolanze e contaminazioni, all'italiano: «Nel condominio se sentivano che stavamo andando a Padova ci chiedevano preoccupati: Ma i capisse?. E aggiungevano convinti: Perché noi altri capimo ma i ori no. I veneziani pensano sempre che capiscono solo loro».Il loro ultimo spettacolo Temporary Show è partito nel novembre scorso dal Teatro Goldoni di Venezia con quattro giorni di tutto esaurito.
Vivono a Mestre: «A noi piace, siamo controcorrente. Avevamo questo ricordo d'infanzia: quando arrivavi a Piazzale Roma sentivi odore di benzina. A noi dove ci mettono stiamo, siamo muranesi».
La terrazza di Carlo si affaccia sulla città, il panorama si apre da una parte sulle ultime ciminiere accese di Porto Marghera e dall'altra sulle montagne lontane che un cielo limpidissimo fa sembrare quasi a portata di mano. E proprio davanti il profilo moderno di una chiesa che ricorda i trampolini del salto con gli sci: «Quando c'è la neve mi aspetto gli sciatori».
Come si sono conosciuti Carlo e Giorgio?
«Ci siamo conosciuti per forza, siamo cugini e le nostre madri sono sorelle. Siamo arrivati al teatro grazie a Lino Toffolo e alla Compagnia amatoriale Teatro Muranese creata da lui. Cercava ragazzi per mettere su uno spettacolo e siamo arrivati, poi ci siamo messi a scrivere i testi da rappresentare. Era bello contare su una compagnia, ci permetteva di parlare di progetti, di provare dalla mattina alla sera».
Come avete capito che quello sarebbe diventato il vostro lavoro?
«Quando le nostre famiglie si ritrovavano a Natale e a Pasqua o al compleanno del vecchio nonno Geppo, che se n'è andato a 98 anni, si organizzavano feste a tema. Tutti preparavano qualcosa, le canzonette parodiate, le scenette, era l'ora del dilettante e circola ancora qualche imbarazzante cassetta filmata. Era il periodo di Arbore e di Indietro tutta, una volta abbiamo organizzato una festa di compleanno ispirata alla trasmissione. Il teatro muranese è stata la nostra occasione proprio quando stavamo chiedendoci cosa fare da grandi».
Come è stata la vostra infanzia a Murano?
Carlo: «Un'infanzia felicissima che si è consumata attorno al negozio di alimentari di mio papà in Fondamenta Vetrai. Da ragazzino d'estate facevo il garzone di bottega, portavo la spesa col carrello; in cambio con gli amici potevamo fare merenda con pane e mortadella, a patto che non ci avvicinassimo all'affettatrice. Per più di vent'anni ho giocato a basket, playmaker nel Murano che era appena risalito nelle serie nazionali, ho giocato molto in C e un po' anche in B».
Giorgio: «Io sono nato vecchio, ho avuto un rapporto speciale col nonno che era il mio grande compagno di giochi. Con lui giocavo a bocce e a carte. C'era un'osteria, oggi chiusa, si chiamava Dalla Mari, dietro c'era lo stradone nelle bocce. Si ritrovavano tutti lì, poeti e ex-granatieri, pescatori e pensionati. A quattro anni conoscevo tutti i motti delle carte, specie quelli per a rompi che è un misto tra scopa e briscola».
Cosa è rimasto della Murano della vostra infanzia?
«È come quando chiedi a Patty Pravo cosa è rimasto della ragazza del Piper e ti senti rispondere: il Piper. Quella Murano erano gli amici, i bagni nel canale, il campo di basket fuori della storica palestra allora Ugo Foscolo e oggi Leo Perziano che era un campione muranese di motonautica. Oggi la vediamo sempre piena di nuovi alberghi e di turisti anche dopo le dieci di notte, cosa che non capitava allora perché le notti erano nostre. Le passeggiate con Lino Toffolo incominciavano alle 23, eravamo una piccola setta di amici che si trovava alle Fondamenta, ci chiamavano i sonnambuli. Anziché il Ponte Longo a Lino avrebbero dovuto intitolargli la Fondamenta».
Poi è arrivata la televisione!
«Come Duo siamo nati nel 1995, tre anni dopo TeleVenezia ci ha offerto un programma quotidiano di un quarto d'ora e questo ha segnato per noi il salto di qualità, la notorietà. Abbiamo inventato storie e personaggi tragicomici che sono validi ancora oggi: come la Famiglia Baldan, marito-moglie-figlia-nonna. La tv ci ha costretto a far crescere i nostri personaggi giorno dopo giorno, e da quella trasmissione, ripresa da tante tv regionali, siamo passati a ospiti fissi per Quelli che il calcio in Rai».
C'è un vostro tormentone?
«C'è, c'è: No stame tocar!. È nato da quelli che ti fermano per strada e quando ti devono raccontare qualcosa incominciano sempre a toccarti, a prenderti per un braccio. Era il tormentone di due minatori che pensavano sempre a un'idea per avere successo una volta usciti dalla miniera, ma quando uscivano scoprivano che l'invenzione era già vecchia».
Siete nati usando la lingua veneta nel vostro teatro
«È stata una scelta consapevole ed è stata vincente. Costruivamo i nostri spettacoli e l'uso del veneziano funzionava e funziona. Una volta c'erano gli stereotipi sui veneti che nella commedia e anche nel cinema e in televisione erano rappresentati come carabinieri, servette, ubriaconi. Oggi quegli stereotipi sembrano spariti, manca anche l'attore veneto, a volte si prendono attori romani e gli fanno dire due battute in veneziano. Il problema non è mai stato la lingua, i dialetti non sono una barriera, noi lavoriamo in tutta Italia e ovunque troviamo un pubblico che capisce tutti. Ora scriviamo anche testi che mescolano felicemente il veneto e l'italiano, altri totalmente in italiano. Il nostro ultimo spettacolo Temporary Show, per esempio, è scritto e pensato in italiano. Questo lavoro è un po' la nostra crescita, la nostra maturità. Quando abbiamo cominciato, la nostra realtà era la calle e descrivevi la calle; ora ti confronti col mondo. La verità è che siamo un po' schizofrenici, abbiamo una doppia personalità: quella invernale quando giriamo in teatro con Temporary Show e quella estiva legata al passato, un tributo a ciò che siamo stati e a quel pubblico che è rimasto legato con affetto a quella parte di noi».
Chi c'è dietro la ditta Carlo&Giorgio?
«Da dieci anni ci segue uno staff che chiamiamo la Banda degli onesti, citazione del film con Totò, Peppino e Giacomo Furia. Carlo&Giorgio sono solo i centravanti della squadra. Ogni spettacolo è frutto anche di Paolo Lunetta, Lizzy Bordon, Cristina Pustetto (sorella di Giorgio), Marilisa Capuano. Temporary Show è uno spettacolo che nasce proprio dal lavoro di tutti. Dietro la parvenza dell'attualità, è una riflessione sul tempo. Oggi non c'è tempo per nulla, talmente poco tempo che i negozi durano un giorno, un cantante dura tre ore Il nostro spettacolo è in linea: uno spettacolo breve, solo che dopo noi ci mettiamo quasi due ore per spiegare che dura un attimo. Del resto, non viviamo nella precarietà? Perché sorprendersi, ormai sembra una situazione stabile, lo diceva già Ennio Flaiano che in Italia niente è più definitivo del provvisorio. Non sono i comici che devono essere lungimiranti, questo è compito dei politici».
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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