Cesare De Michelis il doge che dedicò tutta la vita ai libri

Sabato 11 Agosto 2018
IL LUTTO
Si preoccupava per il fratello Gianni che «ha avuto una vecchiaia precoce e sfortunata». E si portava appresso il suo male chiuso in una scatola d'ossigeno. Era Cesare l'editore, ma anche l'intellettuale libero, il professore, lo scopritore di talenti, il collezionista di libri. L'uomo sempre e comunque controcorrente, soprattutto sul futuro di Venezia che, con ottimismo, vedeva più moderna di tanti altri e per questo destinata al domani e non alla decadenza.
Cesare De Michelis è morto a Cortina, avrebbe compiuto 75 anni dopo Ferragosto. Era nato a Dolo, il padre ingegnere era un dirigente d'azienda a Porto Marghera; la madre una ex dirigente «convertita alla casalinghitudine». Il nonno era un pastore evangelico e tutta la famiglia di religione valdese. Cinque figli: Gianni nato nel 1940, Cesare nel 1943, gli altri fratelli nel dopoguerra. Un'infanzia serena: «Non c'è stata fortunatamente traccia del bisogno. Mio padre ha investito i risparmi di borghese fortunato nelle case che ci ha lasciato».
Cresce nella Venezia dei movimenti e dei partiti degli Anni Sessanta, fonda riviste culturali con Massimo Cacciari e col fratello Gianni, si interessa alla contestazione e alle lotte operaie della zona industriale. Per lui un futuro da docente universitario di letteratura italiana moderna, la prima tappa è a Messina, poi il ritorno al Bo'. Ma il padre in qualche modo ha inciso nel suo domani: come regalo di laurea gli ha consegnato un pacchetto di azioni della Marsilio, una casa editrice nata a Padova da un gruppo di neolaureati che volevano fare un'impresa, una sfida nell'Italia in pieno boom. C'era anche Toni Negri che ne esce subito. Un pacchetto che non va oltre l'uno per cento.
LETTERE E POLITICA
Al rientro a Padova scopre che il gruppo che aveva creato la casa editrice aveva perso l'entusiasmo e si stava sciogliendo: «Mi hanno quasi regalato la Marsilio a patto che la mandassi avanti e mi sono, piano piano, infilato in questa avventura che alla fine è diventata la ma vita. Ce l'ho fatta con l'aiuto di mia moglie».
Così Cesare De Michelis incomincia ad alternare la sua attività di docente a quella di editore sempre più importante nel panorama nazionale. L'uomo è curioso, ama il cinema, cerca e scopre nuovi scrittori, è il primo a pubblicare le opere di Susanna Tamaro e Margaret Mazzantini. Si rammarica di non aver colto in tempo le qualità di Tabucchi. Si batte in politica, si espone per la città di Venezia che incomincia a subire l'invasione del turismo di massa e a porsi domande nuove.
Negli anni '90 la sua famiglia e la sua casa editrice attraversano momenti di grandi difficoltà, l'inchiesta su Mani Pulite travolge il Partito Socialista e anche Gianni De Michelis, ministro rampante e esponente di punta del Craxismo: «Tangentopoli ha pesato sulla mia famiglia e sull'azienda e questo non ha semplificato la vita, ma siccome perdere non mi piace ho cercato un partner e nel 2000 l'ho trovato nella Rizzoli. Di recente si è verificata questa vicenda paradossale, che la sola Marsilio bastava per trasformare la Mondadori in monopolio! C'era la possibilità di ricomprarla e ce la siamo ricomprata». Una quota è stata ceduta alla Feltrinelli.
L'EREDITÀ
Oggi lascia al figlio Luca, amministratore delegato, una casa editrice che stampa 300 titoli in un anno, uno al giorno, e vende 20 milioni di libri. Il successo è arrivato, clamoroso e improvviso, con i tre gialli dello scrittore svedese Stieg Larsson, la serie Millennium, oltre 5 milioni di copie.
Scrive saggi di letteratura soprattutto sugli autori veneti dell'Ottocento e del Novecento, ristampa i classici di Nievo e Fogazzaro, si dedica a Piovene e Comisso, Berto e Parise, Buzzati e Zanzotto. Spiega: «Il Veneto nel Novecento è il luogo di una trasformazione radicale della società, da quella patriarcale al boom. E contemporaneamente questa è una terra che non rinuncia a essere contadina, a essere paese». È colpito da questa eccezionale doppiezza trasformata in grande occasione.
Collezionista geloso, mette insieme una biblioteca personale di centomila volumi, tutti di letteratura italiana. «Sono loro che comandano. Nella mia vita, oltre a fare l'editore, ho fatto il professore e i libri sono ciò che resta di questa vocazione allo studio. Come editore il libro è una merce da vendere, come studioso lo conservo e lo curo». Non si definiva un bibliofilo, ma un bibliomane; affezionato alla biblioteca, non a un libro. Volumi che usava per studiare, pieni di segni. Andranno tutti in un fondo per l'università di Padova, assieme agli archivi di manoscritti di autori veneti, da Nievo a Berto.
IN CAMPO
Frenetico nel non rimanere fermo mentre la società cambia, capace di scrivere saggi e articoli in tempi brevissimi e con lucidità. Comunque sempre nel cuore della sua città, come stimolatore di idee, come consigliere della Fondazione del Teatro La Fenice, come presidente del Comitato scientifico per la pubblicazione delle opere di Carlo Goldoni; come ispiratore del Museo del 900. Pronto a rimettersi in gioco come presidente della Fondazione Pellicani per il Festival della Politica. Mai nell'ombra, frequenta dibattiti e convegni, politica e società. La figura alta, gli occhiali, i baffi ingrigiti dal tempo e una volta ingialliti dalle troppe sigarette. Abiti in grisaglia, un po' pendenti su fianchi e tasche sempre piene.
Disposto a scendere in campo ogni volta per Venezia e con un'idea precisa: «Tutti immaginano che il tempo si possa fermare, ma ogni giorno si prende un pezzo. Non esiste l'eternità, così ci si esaurisce nell'assistenza che è il massimo del narcisismo». Ribatteva a tutti che Venezia è viva: «Abbiamo il terzo aeroporto d'Italia, siamo una delle mete turistiche del mondo, abbiamo investito per costruire il più bel porto da crociere d'Europa, l'unico che può accogliere otto grandi navi. Eppure lo diciamo come se fosse una sventura. Occorre una città capace di esprimere un sentimento di orgoglio».
IL TRATTO DISTINTIVO
Ecco: l'orgoglio come caratteristica di una città e anche della sua personalità. Orgoglio per la carriera di insegnante e per quella di editore, diventato decano dell'editoria perché i vecchi colossi non avevano più le famiglie dei fondatori se non nel nome e perché una casa con 60 anni di vita ormai è storia in un mondo che consuma tutto in fretta.
Orgoglio nel rivendicare il valore del fratello Gianni: «È stato il più importante incontro della mia vita da quando sono nato. È l'uomo più intelligente che ho conosciuto, col quale ho condiviso tutto: dalla stanza da letto per 22 anni, alla casa editrice, alle idee politiche... Quando una sconfitta è così drammatica e clamorosa, qualche errore l'hai commesso, anche di visionarietà».
Orgoglio pure di una sconfitta e di una capacità visionaria che non è comune e che contraddistingue gli uomini di talento. Per questo chiedeva che Venezia diventasse postmoderna: «O ci sforziamo di stare al mondo, o andiamo all'altro mondo che non c'è niente di male».
Si è portato appresso con orgoglio anche la sua malattia che non ne ha annebbiato le idee. Adesso è all'altro mondo, quello dove «non c'è niente di male».
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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