«Capitale della cultura Treviso non ha vinto, ma è stato un successo»

Sabato 17 Febbraio 2018
«Capitale della cultura Treviso non ha vinto, ma è stato un successo»
L'INTERVISTA
Ha portato la musica nel deserto e sull'Himalaya. È a proprio agio nelle grandi sale da concerto di Vienna e Londra, ma anche in mezzo alla natura, tra le architetture vegetali di Arte Sella, testimonial e promotore dei Suoni delle Dolomiti. E sulla sconfitta di Treviso, ovvero la vittoria di Parma a capitale della cultura italiana nel 2020, il violoncellista Mario Brunello dice con onestà: giusto così. Treviso ha iniziato un processo importante, ma per arrivare ad un obiettivo così prestigioso occorrono anni ed esperienza. Tuttavia, essere infilati nella short list, la lista delle dieci città finaliste al primo tentativo, è già una affermazione che riempie di orgoglio.
Perchè a suo avviso Treviso non ce l'ha fatta?
«Per arrivare ad essere capitale di cultura o di sport bisogna lavorare qualche anno in più. E mi sembra che già il fatto di essere entrati subito nella short list sia molto positivo. A Treviso si sta accendendo qualcosa di molto importante. Parma però è una città che culturalmente lavora da tanti anni in rete ed è circondata da città piene di valori importanti. Ho questa esperienza dal punto di vista musicale».
Lei conosce bene il territorio di Parma e Busseto?
«Ho collaborato con loro per anni. Se dovessi fare un paragone direi che qui siamo ancora ai feudi e lì siamo già alla Repubblica. Per questo dobbiamo essere felici di essere entrati in finale. Credo di più fosse obiettivamente impossibile sperare».
Quindi è già un successo?
«Deve essere un grande momento di carica. Treviso è riuscita a risvegliarsi da decenni di torpore e bisogna andare avanti sull'idea che la cultura diventi la nostra bandiera. Possiamo farcela. Non oggi però, ma in un futuro prossimo è un obiettivo cui Treviso può legittimamente aspirare».
Il sindaco Manildo ha portato a Roma un nuovo progetto partecipativo di teatro, in cui accanto alla Fondazione Cassamarca e al Comune ci potrebbe essere l'azionariato popolare.
«Credo sia urgente una revisione totale dell'esperienza teatro. Il teatro doveva essere un fatto comunitario anche prima. A Parma è così. Treviso ha avuto un teatro che si è rinchiuso dentro una gestione privata, senza entrare nel merito di questa gestione che ha fatto anche molte cose buone. Ma il teatro deve essere della città, non di una fondazione bancaria. Quella volta il teatro è stato scippato alla città, è stato fermato un ciclo di orizzonti. È stata mandata a casa un'orchestra. Era il 1998. Così Treviso è uscito anche dai teatri di tradizione».
La musica può essere uno degli aspetti da raccontare meglio se tenteremo una seconda volta?
«Se ci sarà una prossima volta non lo so. Dobbiamo andare avanti oggi con l'energia giusta. Al di là dello status di capitale. L'idea espressa nel dossier, quella di vedere le mura cinquecentesche come una soglia non come chiusura è la cosa più forte che sia stata espressa. Le mura devono diventare delle porte».
Dobbiamo quindi prendere esempio da Parma?
«Sì, hanno un conservatorio strepitoso, un'orchestra regionale di alto livello, la filarmonica Toscanini. Insomma sono dieci piani più alto rispetto a Treviso. È giusto che abbiamo vinto loro. Ma anche noi ce la possiamo fare».
Lei è soddisfatto di come sono andate le cose?
«Sì, è una grande spinta e Treviso ha portato a casa un risultato importante. La cosa più bella che hanno fatto il sindaco Manildo e i suoi collaboratori è quella di far scattare un via per il futuro».
Ci fosse bisogno di lei nel nuovo teatro per Treviso 2021?
«Per suonare non mi sono mai tirato indietro. Anche questa è partecipazione diretta».
Elena Filini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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