Banche, risparmi e misteri

Giovedì 15 Novembre 2018
L'ANTICIPAZIONE
Ricordate il 2011, il Cigno nero italiano? Ricordate Sarkozy che fa bombardare la Libia, Lagarde che vuole commissariare l'Italia a Cannes e non dà tregua a Berlusconi, il veto francese su Prodi come mediatore in Libia e il sì, qualche mese dopo, a un libanese che però è cittadino francese e vive a Parigi, e, ancora, il capo della vigilanza europea, madame Danièle Nouy, che fa l'esame del sangue in modo ossessivo alle banche italiane e non ha nulla da dire sui trilioni di derivati nella pancia delle banche francesi e tedesche: forse qualcosa vuol dire o no? Vi è venuto qualche dubbio? Bene, voglio partire dai miei incontri con Jean Pierre Mustier, ex enfant prodige della finanza francese e oggi a capo di Unicredit con pieni poteri. Anzi, prima alcuni fatti: Mustier nel suo mestiere è bravissimo, concepisce e realizza un grande aumento di capitale, operazione sistemica ottima per l'Italia, Unicredit non ha un solo azionista di peso francese, è una vera public company con la prevalenza di fondi di investimento anglosassoni. Non può costituire una colpa essere francese, d'accordo, ma il suo primo atto è stato la vendita di Pioneer, il risparmio di veneti e lombardi, ad Amundi che è una joint venture tra Crédit Agricole (in Italia possiede CariParma) e Société Générale, nata meno di otto anni fa e non agli spagnoli di Santander, che avevano accettato un accordo paritetico con gli italiani e, soprattutto, di conservare il marchio Pioneer.
IL LOMBARDO-VENETO
La gara è stata riaperta, tanti soldi in più a Unicredit, certo, ma è un fatto che il tesoro italiano più àmbito va a una giovane compagnia francese che acquisisce così le dimensioni e la stazza di un colosso mondiale dell'asset management, all'altezza di quelli americani. Mi permetto sommessamente di porre una domanda. Mettiamo caso che al prossimo deal internazionale si trovino contrapposte un'azienda italiana e un'azienda francese: secondo voi Amundi, con i risparmi dei veneti e dei lombardi, con chi si schiererà? Io non ho dubbi, e mi preoccupo. Torniamo agli incontri con Mustier. All'ultimo piano del grattacielo di Unicredit, nel punto più alto di Milano, mi accoglie con il solito quadernetto a quadri pieno di figurine, lo sventola e dice: vedi, sto studiando l'italiano, tu come stai, bene? Sì, bene, rispondo io. E lui: Unicredit, molto bene. Finisce qui la conversazione in italiano, poi si prosegue un po' in inglese e un po' in francese con la sua assistente svedese, Louise Tingström, che distribuisce sorrisi, passa da un divanetto all'altro e traduce tutto. A un certo punto, Mustier mi fa: le grandi imprese francesi sono ormai dei dinosauri, la Francia è vecchia invece il lombardo-veneto è giovane, grandi multinazionali tascabili, flessibili, dinamiche, gli brillano gli occhi mentre parla, io lo guardo e mi sembra che si stia mangiando le aziende italiane una a una con quegli occhi. Non mi piace la scena, è una cosa di pelle, facciamo che è una mia fisima ma è così.
LUXOTTICA
Facciamo che mi viene voglia di abbracciare Tom Wolfe e le sue memorabili pagine sui radical chic di New York per segnalargli se non altro che nel falò delle vanità quelli di Parigi sono inavvicinabili. Poi arriva la notizia dell'accordo tra la italiana Luxottica di Del Vecchio, gigante mondiale dell'occhialeria da Agordo, e una cooperativa francese multinazionale, la Essilor, leader nell'oftalmico ma più piccola di Luxottica, e apprendo da un take di agenzia che la nuova joint venture si quoterà alla borsa francese: da Milano a Parigi no, non è possibile che anche la bandiera di quelle aziende di cui parlava Mustier, del cosiddetto quarto capitalismo italiano, sarà a guida francese. No, non ci sto, con tante mogli, tanti figli, tanti nipoti, tanti eredi e tanti manager italiani cosmopoliti, uno buono e italiano ci deve essere, uno a cui affidare la guida dell'azienda che impersonifica un deal mondiale che ci siamo inventati noi, deve esistere! Avviso il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, che lo avrei scritto sul Sole 24 ore (che allora dirigevo), e il giorno dopo Del Vecchio vuole uscire da Confindustria. Boccia mi prega di chiamarlo e io lo faccio volentieri. Chiamo direttamente sul cellulare, saluto e lui resta muto per 120 interminabili secondi, poi, cito a mente, mi dice tutto d'un fiato: Io ci ho pensato, e bene, direttore, al futuro dell'azienda e al futuro della mia famiglia, lei stia tranquillo, e poi sappia che è un grande progetto industriale, un grande accordo. È vero, ha ragione lui, sì, sono tutti ricchi, loro, i suoi eredi sono ricchi.
Il progetto industriale è bello, anche qui ha ragione lui, ma noi rischiamo di perdere il comando di ciò che abbiamo inventato, nessuno più di me vuole, spera, di essere smentito. Non sono sovranista, non sono nazionalista. Sono per la società aperta, apertissima, così aperta che almeno una volta tocchi a noi. Allora ricapitoliamo: Montedison è diventata una cosa più piccola, si chiama Edison, ma è francese da quel dì, Italcementi è tedesca, Olivetti sparita, Pirelli prima russa poi cinese con un manager bravo che ne è azionista e garantisce per ora la governance italiana, Lucchini non ha avuto eredi degni della sua storia. Senza Sergio Marchionne, l'uomo con il pulloverino nero, che se ne è andato a modo suo nel rimpianto ossequioso di tutti che lo avrebbe infastidito e oggi riposa in Canada, di quelle grandi famiglie non ci sarebbe più nulla, zero spaccato. Invece, per fortuna, ci sono ancora le piattaforme globali di Fiat Chrysler Automobiles.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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