L'odissea delle imprese friulane in Libia «Mutuo con la pensione per pagare debiti»

Martedì 24 Ottobre 2017
L'odissea delle imprese friulane in Libia «Mutuo con la pensione per pagare debiti»
IL CASO
UDINE Ha dovuto accendere un mutuo usando una parte della sua pensione, per pagare quanti, in Friuli, lo avevano aiutato a progettare le infrastrutture di Tobruk, in Libia. Perché, a quasi sette anni dalla precipitosa fuga dalla Cirenaica in subbuglio, dopo l'esplosione della rivolta anti-Gheddafi, ancora l'ingegnere di Buttrio Gianni De Cecco, titolare della Friulana bitumi international e contitolare dello studio udinese Inarco, aspetta di vedere una soluzione per il nodo dei crediti maturati nel Paese africano. E, come lui, da anni la attendono molti altri imprenditori, italiani e anche della regione. Secondo i dati della Camera di commercio italo-libica, i crediti delle imprese presenti nel Paese nordafricano nel 2011 ammontano a quasi 650 milioni di euro, cui vanno aggiunti circa 15 milioni per i danni subiti ad attrezzature, impianti e strutture immobiliari. Tante società, nell'attesa di vedersi riconosciuti i soldi dovuti, sono finite gambe all'aria. De Cecco resiste ancora e continua a lottare, con la caparbietà e l'ostinata dedizione che non fa certo difetto ai friulani. Da allora, è anche tornato più volte in Libia, l'ultima «a giugno 2015, con grandi difficoltà e grossi rischi, contro il parere della Farnesina. A febbraio di quell'anno, l'ambasciata italiana aveva lasciato la Libia». E adesso, dice, «confidiamo nell'impegno del Governo e del ministero degli Esteri perché finalmente si dia soluzione al problema dei crediti». Soldi che, nell'immediato, non potranno certo essere saldati dai libici, come constatato dalla stessa Camera italo-libica, secondo cui «fino a quando la Libia non supererà 1,2-1,5 milioni di barili di greggio, non ci saranno risorse per i nostri crediti». «Dev'essere lo Stato italiano ad aiutarci. Ci è stato riferito che il Governo e la Farnesina stanno operando in questa direzione», spiega De Cecco, che a maggio ha incontrato il ministro Alfano, assieme al presidente della Camera italo-libica. Un vertice salutato già allora come il segno di una possibile svolta. De Cecco, in Libia, prima della rivolta, aveva un contratto «di oltre 260 milioni di euro» per progettare (e in parte realizzare) una nuova città eco-sostenibile da 72mila abitanti, Sidi al Hamri, oltre ad incarichi per la progettazione di infrastrutture a Cirene e a Tobruk. In assenza di un ristoro dei crediti, «non potrò rientrare in Libia quando il Paese si stabilizzerà, lasciando ad altri il completamento della progettazione di Sidi al Hamri e quella dei lavori per i quali mi stanno invitando a Bengasi. Per saldare parte delle spese sostenute per la progettazione in Libia e pagare il personale italiano ho dovuto accendere un mutuo usando una parte della pensione, oltre che ipotecare degli immobili», confida. Secondo lui una possibile soluzione potrebbe essere quella suggerita dall'ambasciatore libico presso la Santa Sede, Mustafa Rugibani, ad un convegno organizzato dallo stesso De Cecco a Gorizia nel 2016: «Rugibani aveva proposto che lo Stato italiano istituisse un fondo, garantito dallo Stato libico, per pagare le imprese italiane o in alternativa l'utilizzo temporaneo dei fondi del Trattato di amicizia».
Camilla De Mori
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci