IL CASO
UDINE I primi esemplari in Friuli c'erano già negli anni 70. Ma

Domenica 24 Febbraio 2019
IL CASO
UDINE I primi esemplari in Friuli c'erano già negli anni 70. Ma l'invasione, quella vera, a sentire gli esperti, è cominciata nel 1995-1996. Perché è dal rilascio di «una dozzina di nutrie nelle zone umide del rio Bosso, a Buja», come racconta lo zoologo del Museo friulano di Storia naturale Luca Lapini, che «è partita una violenta espansione, che in tre-quattro anni le ha portate ad invadere la pianura friulana». E oggi i castorini, inseriti dall'Unione europea fra le cento specie invasive più pericolose per la biodiversità tanto da imporre agli Stati membri di tentarne l'eradicazione, in Friuli Venezia Giulia sono diventati un esercito. «Le stime vanno da un minimo di 45mila ad un massimo di 70mila esemplari», dicono in coro lo stesso Lapini e Stefano Filacorda, dell'ateneo di Udine, che con il suo gruppo di lavoro ha ricevuto dalla Regione l'incarico per studiare dei sistemi di eradicazione alternativi. Perché è solo agendo su più fronti che, secondo gli esperti, si potrà tentare di contenere la grande invasione. Ma le armi, lo dicono tutti, sono spuntate e, con la burocrazia che ci mette lo zampino, la battaglia sembra persa in partenza.
IL TENTATIVO
E allora ora si tenta anche di ridurre il tasso di riproduzione dei castorini, che oggi sfornano piccoli in quantità. «Abbiamo un accordo con la Regione - chiarisce Filacorda - per fare la sperimentazione e tentare di ridurre il tasso di riproduzione delle nutrie. Stiamo per concludere l'iter autorizzativo. Abbiamo già ottenuto l'ok alla cattura degli animali. Aspettiamo a giorni l'autorizzazione ministeriale alla detenzione degli esemplari per condurre la sperimentazione in cattività. L'ultimo passaggio è il via libera alla sperimentazione vera e propria, che arriverà». Quanti animali saranno coinvolti? «Abbiamo strutture che possono contenere 20 esemplari per volta, fino ad un massimo di 60. Ma potremmo chiedere ulteriori integrazioni. I tempi? Per avere i primi risultati credo bisognerà aspettare la fine del 2019 o l'inizio del 2020». E quindi, come conferma anche l'assessore regionale Stefano Zannier, per l'avvio di una vera e propria campagna sul territorio, bisognerà attendere almeno il 2020. Lo studio, che prevedeva anche un monitoraggio, come spiega Filacorda, era stato commissionato già due anni fa, ma la parte che riguarda i test ha visto dei ritardi di tipo burocratico. «Miriamo a trovare una sostanza o una serie di sostanze che possano ridurre il tasso di riproduzione delle nutrie, per poi immetterle in natura», prosegue Filacorda. Una delle ipotesi allo studio è quella di sistemare delle «esche galleggianti, delle zattere con particolari sistemi che impedirebbero ad animali più grandi o più piccoli di prendere le esche». Una sorta di piano B che «dovrebbe andare ad integrarsi al sistema di controllo numerico con abbattimento, dove questo non funziona».
L'OPINIONE
«Finora i sistemi di eradicazione alternativi hanno dimostrato di funzionare solo su piccola scala, come ad esempio in parchi cittadini del milanese - dice Lapini -. È una battaglia ad armi impari. Ma è importante che si tentino varie strade». Purtroppo, aggiunge lo zoologo, secondo lui «la possibilità di eradicare la specie dal territorio regionale è quasi nulla. L'unico posto al mondo in cui ci sono riusciti è un'area dell'Inghilterra, a metà anni Ottanta, ma solo perché un inverno ci fu un abbassamento della temperatura tale che uccise gli ultimi esemplari rimasti».
I DANNI
«I danni causati dalle nutrie ad argini e canali sono molto rilevanti. Abbiamo grossi problemi, soprattutto nella Bassa», dice la presidente del Consorzio di bonifica pianura friulana Rosanna Clocchiatti. Nel 2014 l'amministrazione regionale ha stimato in 11 milioni di euro i danni dovuti a questa specie, ma, calcola Venturini, del Consorzio, «se oltre ai lavori di sistemazione su quasi 60 chilometri di canali danneggiati, si aggiunge anche la progettazione, si arriva a quasi 15 milioni». Un'enormità, che servirebbe a porre rimedio a tutti i buchi in argini e canali. «E nel frattempo le nutrie continuano a farne».
Camilla De Mori
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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