Profughi nel parco, ma per recitare

Giovedì 20 Luglio 2017
Profughi nel parco, ma per recitare
Una cassa di legno. Di quelle che i profughi riempiono di pomodori e ortaggi, trattati come paria in molti luoghi del mondo. Qui però è una biblioteca viaggiante, piena di libri: se gli attori migranti la sollevano da soli non riescono ad issarla. Se invece ci si mettono tutti, il peso si alleggerisce e la cassa si alza. Da questa semplice metafora prende avvio lo spettacolo Storie di viaggio, parte finale del corso di teatro che i richiedenti asilo delle caserme Serena hanno seguito sotto la guida della compagnia Tremilioni di Conegliano e che ieri sera è andato in scena nel piccolo anfiteatro del parco di via Aldo Moro. Il palcoscenico è uno spicchio di marciapiede: a fare da quinta una porta colorata, riattata come la platea con i colori della Pulperia; poi due fari abbastanza di fortuna. Ma, nella sua semplicità, è bello così. I richiedenti asilo, in tutto una sessantina, hanno messo il completo della festa. Si avvicendano in scena cantando, recitando preghiere, o improvvisando monologhi in cui raccontano sempre la stessa storia. Speranza, riscatto, curiosità, bisogno: la miccia per partire ha una radice comune.
Anna Chiara Pavan ha seguito i migranti performer in questi mesi: «È stato un percorso emozionante- spiega - ognuno di loro stasera non recita una parte decisa da altri, ma costruita in prima persona». Tra i diversi volti in scena si segnala Emy, 22 anni, nigeriano: canta con voce sicura e ha sceneggiato la performance dei suoi connazionali che rappresenta la storia di un gruppo di richiedenti che arriva in Europa. «tra loro si salveranno solo i due che imparano l'italiano e accettano le regole. I ghanesi sono statuari, fieri: hanno scelto la preghiera dell'indipendenza del Ghana; la recitano prima in italiano e poi la cantano con il jumming dei tamburi. Ad emozionare infine sono i versi di Mamma Africa. Il senso della serata si può raccogliere in queste semplici parole, pronunciate a sipario chiuso, affaticati ma soddisfatti. «Non siamo solo quelli che sporcano il parco, ma siamo anche quelli che lo riempiono di parole, di note, di emozioni».

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