«Non dimenticherò mai la paura, il senso di impotenza, lo smarrimento di quei giorni in isolamento in ospedale con il morbillo. Non riuscivo ad articolare frasi di senso compiuto: oggi mi sento una miracolata e per questo sempre più convinta che i vaccini siano di vitale importanza». Monica B., 44 anni, commerciante trevigiana, sulle vaccinazioni non vuole scherzare. Colpita da una forma violenta di morbillo a fine novembre ha creduto davvero di non farcela. «La cosa più brutta -racconta- è stata quando mi sono resa conto che non riuscivo a dar voce ai miei pensieri, cioè il cervello non riusciva ad articolare le parole nonostante dentro di me sapessi esattamente cosa dire ai medici e agli infermieri. Ho avuto paura, per me e per le mie due bambine che potevo vedere solo attraverso il vetro della stanza del reparto in cui ero ricoverata in isolamento». L'incubo è iniziato un pomeriggio all'improvviso. «Era un mercoledì. Mi è salita la febbre in poche ore e nonostante le rassicurazioni del medico il termometro è arrivato a 41 gradi. Al mattino mi sono comparsi dei puntini sul collo, sembrava un eritema. Sono andata in pronto soccorso e da qui nel reparto di medicina. Peggioravo a vista d'occhio: l'eruzione ormai era su tutto il corpo. Non riuscivo più a parlare, ho davvero temuto il peggio. Trasferita nel reparto di malattie infettive sono rimasta sotto osservazione fino al martedì successivo». Poi, lenta, la ripresa. «Ma la paura non è finita, anzi. Per un mese ho fatto esami e accertamenti: mi dicevano che rischiavo gravi conseguenze epatiche e un mieloma nel sangue. Il mio era il sedicesimo caso di morbillo curato nell'Usl trevigiana, per questo hanno contatto i miei parenti e i conoscenti più stretti raccomandando a tutti di vaccinarsi». Oggi Monica racconta la sua storia perchè vuole portare un contributo al dibattito sulle vaccinazioni. «Viviamo in un mondo che è cambiato radicalmente, le malattie che un tempo erano debellate sono tornate a mietere vittime. Non abbiamo scelta: dobbiamo proteggerci e proteggere i nostri figli».
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