Il prefetto di allora: «L'episodio più brutto»

Sabato 23 Settembre 2017
IL RICORDO
TREVISO «L'episodio più brutto accaduto in questi anni? Lo stupro della stazione: siamo riusciti a risolverlo in fretta, ma abbiamo rischiato anche di perdere Zuluaga. Ancora poco e si sarebbe arruolato nella Legione Straniera».
Il prefetto di quel 2011, passato alla storia cittadina come l'anno della tremenda aggressione, era Aldo Adinolfi. E poco prima di andare in pensione, ripercorrendo il triennio trevigiano, in un'intervista ha indicato quella come la peggiore esperienza professionale vissuta. Il caso Zuluaga ha turbato a lungo coscienze e animi. E Adinolfi, persona discreta poco avvezza alle luci della ribalta, ha cercato di gestire una situazione delicatissima con grande tatto. Alcuni aspetti della gestione di quella indagine non gli sono però andati genio: non ha mai avuto nulla da ridire sul l'eccezionale lavoro degli investigatori della squadra mobile, ma con l'eccessiva spettacolarizzazione del caso.
Il nome di Zuluaga ha fatto capolino più volte negli ultimi anni. Soprattutto in occasione del processo. La sentenza di primo grado non ha fatto sconti. Le prove raccolte, la testimonianza della vittima, hanno convinto il giudice a condannare il colombiano a 7 anni e 4 mesi di reclusione.
L'APPELLO
Sentenza ribadita anche in appello, con una motivazione che ha di fatto messo la pietra sopra ogni speranza di riduzione: «Julio Cesar Zuluaga Aguirre ha un elevatissimo profilo di pericolosità specifica che impone l'adozione di una pena che ne consenta la sottoposizione a un lungo periodo di osservazione». Così recita uno dei passaggi cruciali delle 11 pagine di motivazione dei giudici di appello. La corte rispedì al mittente tutti i tentativi di intaccare la deposizione della vittima, ritenuta «totalmente credibile» sottolineando che lo stato di choc della ragazza «non ha pregiudicato la precisione dei suoi ricordi». Infine l'atteggiamento di Zuluaga: i giudici non ravvisarono atteggiamenti che potessero far intendere la volontà di «riparare il danno, anche in maniera simbolica».

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