Il commissario che lo arrestò: «È stata una cattura da film»

Sabato 23 Settembre 2017
L'INVESTIGATORE
TREVISO Quando la folle corsa di Julio Cesar Aguirre Zuluaga potè dirsi conclusa e il colombiano venne messo sul primo volo per l'Italia, ad attenderlo all'aeroporto di Venezia c'era Roberto Della Rocca, al tempo dirigente responsabile della squadra Mobile trevigiana e ora a Venezia: «Una cattura da film. Ci è mancato un attimo. E di lui avremmo perso definitivamente le tracce».
Sono passati sei anni ma quel caso gli è rimasto nel cuore.
«E non potrebbe essere altrimenti. Fu una storia difficile e delicata. È proprio il genere di vicenda per cui amo il mio lavoro».
Perchè Anna ha deciso di diventare criminologa?
«Quei giorni sono stati decisivi, a mio avviso. La forte empatia che si è sviluppata con le donne e gli uomini della polizia ha avuto un ruolo fondamentale. Anna ha potuto sperimentare in prima persona l'umanità e la sensibilità che fa parte del nostro modo di lavorare».
Cosa aveva di particolare quel caso?
«Era uno dei primi casi di violenza sessuale ai danni di una giovane donna che vedeva protagonista uno straniero. Scosse una realtà opulenta e all'apparenza tranquilla come la provincia trevigiana. L'emozione attraversò l'Italia. Poi purtroppo gli abusi di questo tipo iniziarono ad aumentare».
La conclusione positiva della vicenda fu dovuta anche alla casualità?
«Non credo. Da un lato avevamo una ragazza con grandissime risorse personali. Questo ci stimolò e ci aiutò: c'era una spinta fortissima nel fare il possibile per prendere Zuluaga. Abbiamo fatto un lavoro bestiale tenendo sotto controllo telefoni e spostamenti. E, quando l'abbiamo localizzato a Parigi, aveva già passato alcune prove di idoneità. Era praticamente già dentro la Legione Straniera. Pochi istanti dopo, avrebbe fatto perdere le sue tracce per sempre».
Cosa pensò quando si trovò davanti Zuluaga?
«Ricordo un viaggio in macchina che mi parve lunghissimo, un silenzio pesante, carico di tensione. Lì, secondo me, il colombiano pensava ancora di riuscire a scamparla».
Questo caso rappresentò per lei un esordio al fulmicotone a Treviso.
«Più o meno. Appena arrivai in città ci fu subito l'omicidio Vidoni e poco dopo arrivò l'abuso sessuale nel sottopasso della stazione. Quell'indagine è stata unica per l'intensità ma anche per la qualità del lavoro svolto. Treviso ha una squadra investigativa di altissimo livello».
Anna ha dimostrato con i fatti di aver vinto la sua battaglia. Va sempre a finire così?
«No purtroppo. Ma per guarire da ferite di questo genere, ammesso che si guarisca del tutto, serve una struttura personale molto solida e un contesto famigliare di un certo tipo. Ci vogliono comunque molto tempo e una ferma volontà».
Cosa augura ad Anna ora che si appresta a tentare l'ingresso in polizia?
«Ci siamo sentiti fino a pochi anni fa. Anzi, potrebbe essere l'occasione per farle una telefonata. L'augurio? Di averla presto come collega».
E. F.

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