Gli spari dietro la siepe «Sono fuggita in casa»

Mercoledì 19 Ottobre 2016 di Silvia Cadamuro, che abita a pochi passi, ha vissuto in diretta tutte le fasi dell'azione e ha avvertito subito le forze dell'ordine
TREVISO - Nascosta dietro le finestre di casa sua ha sentito spari, minacce, rumori di auto partire a tutta velocità, urla. Ha udito i banditi che in un italiano con un accento marcatamente dell'Est Europa, forse albanese, intimavano alla guardia della Civis chiusa dentro il furgone con il denaro di mettersi in ginocchio e abbassare la testa: molto probabilmente un avvertimento prima di sparare contro il portellone chiuso. Sono stati minuti terribili. Silvia Cadamuro è una giovane sulla trentina che si sta sistemando la casa in una laterale di via Risorgive, proprio a due passi dall'autostrada A/27, nel tratto che attraversa San Biagio. E il caso ha voluto che proprio davanti alle sue finestre, al di là di una siepe e una recinzione, si sia svolto l'assalto. Ha visto molto e sentito tutto. E non se lo dimenticherà tanto facilmente.
«Le posso dire esattamente l'ora in cui è successo tutto quanto, ho registrato sul telefonino la telefonata che ho fatto allarmata a un mio amico. Poi ho chiamato la Polizia: erano le 18,20 - racconta - la prima cosa che ho sentito sono stati quelli che, in un primo momento, pensavo fossero petardi. Invece erano spari. Prima più distanti, poi quattro colpi molto ravvicinati e poi altri colpi ancora: sembrava un botta e risposta. Mi sono rifugiata in casa. Ho visto i banditi scendere dall'auto, non so quanti. Dalla parlata potevano essere albanesi ma non sono sicura. C'erano due agenti della Civis nell'abitacolo e un terzo, a quanto ho capito, nel furgone. Ho sentito che urlavano a quello chiuso dentro: mettiti in ginocchio e abbassa la testa. Lo hanno urlato due volte, la seconda con una bestemmia. Poi ho sentito altri due spari e infine un'auto partire». E, mentre davanti a casa sua si scatenava l'inferno, Silvia ha tentato di rimanere lucida e fare la cosa giusta: «Ho chiamato la polizia ma mi hanno detto che stavano già intervenendo anche se ci hanno messo un pò: non capivano dove fosse il furgone. Quando è finito tutto ho cercato di andare a vedere, a prestare soccorso, ma la recinzione me lo impediva. Le due guardie dentro l'abitacolo hanno anche acceso e spento i fanali una volta. Ho pensato che stessero bene e gli ho fatto segno con il flash del cellulare. Ho aspettato che arrivassero i soccorsi e poi ho provato di nuovo ad andare in autostrada per aiutare ma non ce l'ho fatta. Da sciocca, durante l'assalto, da dentro casa, ho anche urlato che stavo chiamando la polizia. Ma gli amici che erano con me mi hanno detto di stare zitta. È stato pauroso».
Paolo Calia

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