Gentilini rilancia: «Ritirate Conte e sono pronto a discutere ancora»

Mercoledì 21 Febbraio 2018
LA SFIDA
TREVISO Il rifugio è sempre lo stesso: il ristorante/osteria Ai do Mori, proprio davanti alla sua amata Ca' Sugana. Ogni mattina, sul fare del mezzogiorno, lo si trova lì assieme ai suoi fidatissimi. E attorno a solito tavolo sono state prese tutte le decisioni. Giancarlo Gentilini, ieri tra una chiacchiera e l'altra, ha letto le aperture di Matteo Salvini, gli inviti di Dimitri Coin e Mario Conte a ricompattare il centrodestra. Ha sorriso amaramente. Ma ha anche rilanciato: «Cosa potrebbe riaprire il dialogo con la Lega? C'è una sola possibilità, che si azzeri tutto quello fatto fino a oggi. Compresa la candidatura di Conte. Ci mettiamo tutti assieme a discutere su quale potrebbe essere il candidato migliore. Io un nome ce l'ho». Lo Sceriffo insomma fa mezzo passo avanti, anche se non dà l'idea di crederci fino in fondo. Magari però ci spera. Di sicuro rilancia la palla nel campo avversario, non è più lui a dire di no. Ha messo invece sul tavolo una proposta, sicuramente pochissimo gradita dai vertici del Carroccio, che gli altri sono chiamati ad accogliere, respingere o comunque trattare.
LA BOCCIATURA
È un Gentilini deluso ma combattivo quello che parla stretto tra il delfino Giuseppe Basso, i vecchi compagni di lotta politica Paolo Candiago e Armando Mazzobel. Nel tavolino dietro se ne sta in silenzio Vittorio Zanini. Forte del suo clan detta le sue condizioni e boccia ancora una volta Conte: «È un bravo ragazzo - concede - ma è ancora troppo giovane e poco strutturato per caricarsi sulle spalle una città disastrata da cinque anni di amministrazione Manildo». Lo Sceriffo vuole rimettere in discussione tutto. E vuole essere ascoltato. Alla sua maniera quindi lancia l'invito alla Lega, anche se dal K3 difficilmente qualcuno accetterà di aprire una clamorosa nuova trattativa. E poi l'ostacolo più grande rimangono i rapporti con il segretario provinciale Dimitri Coin: «È stato Coin ad allontanarmi dalla Lega - precisa Gentilini - è stato lui a impedirmi di entrare al K3. Io ci andavo per accogliere i cittadini e scrivere, con l'aiuto della segretaria, delle lettere per aiutare la gente. Scrivevo al direttore dell'Usl, al presidente dell'Israa, ai ministri. Scrivevo a chiunque potesse darmi una mano per risolvere i problemi di chi mi contattava quotidianamente. Ma Coin, all'improvviso, ha dato ordine di non farmi più entrare in segreteria». Poi il monito, con tanto di dito indice accusatorio: «Sia chiaro, non ho mai utilizzato quelle lettere per piazzare qualcuno dei miei, come è stato detto. Non l'ho mai fatto per nessuno, nemmeno per i miei figli. Sfido chiunque a dire il contrario».
L'ANEDDOTO
Le ferite fanno fatica a rimarginarsi. Accanto c'è Basso, che racconta il tentativo fatto per salvare i rapporti: «Andammo al K3 io, Giancarlo, Zampese e Fanton - ricostruisce l'ex assessore ai lavori pubblici - volevamo parlare della lista Gentilini. La gente chiedeva di farla, la voleva. Lo dicemmo a Coin e agli altri dirigenti della Lega. Vista la situazione volevamo solo pari dignità tra la Lista Gentilini e quella della Lega e chiedevamo di essere coinvolti nella discussione sul nome del candidato sindaco e nella stesura del programma. Ci dissero che se ne poteva parlare, poi però non è mai successo nulla». Gentilini resta diffidente. L'apertura di Salvini non lo colpisce più di tanto: «Salvini non conosce tutte queste cose, ascolta di più il nuovo cerchio magico che si è formato a Treviso - racconta - ho il suo numero personale, ho provato a contattarlo più volte ma inutilmente. Dal 2013 non ho più sento nessun dirigente della Lega. Anche Salvini dovrebbe avere ben presente che senza la mia vittoria nel 1994, non ci sarebbe nemmeno lui». E in attesa delle reazioni del Carroccio, lo Sceriffo continua a cullare l'idea di candidare Sandro Zampese: «Sarebbe l'uomo ideale, anche per il centrodestra unito. Ma non è l'unico. Procediamo con calma, senza farci prendere dalla fretta. Ne possiamo riparlare dopo le elezioni del 4 marzo».
Paolo Calia
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