Borrelli: «Il killer davanti a noi»

Giovedì 13 Dicembre 2018
Borrelli: «Il killer davanti a noi»
LA TESTIMONIANZA
TREVISO «Avrei potuto essere al loro posto. Ci distanziavano 50 metri. Sufficienti per sopravvivere». David Borrelli, eurodeputato trevigiano, ha passato quattro ore in uno scantinato, a terra, al buio. È uscito nel cuore della notte in una Strasburgo spettrale, nelle orecchie ancora il fischio dei proiettili. Ma è illeso e può raccontare quei momenti drammatici. La sua compagna, Mariangela Riva, due anni fa aveva scampato per poco l'attentato alla metropolitana di Bruxelles. «Non prese l'aereo perché era caro e prenotò quello del giorno successivo». Diversamente, si sarebbe trovata sul convoglio nel momento dell'esplosione. Borrelli non si trovava in un ristorante come molti eurodeputati italiani. Era da poco uscito dal Parlamento ed era per strada. Nella strada maledetta dei mercatini natalizi. Ecco la sua drammatica testimonianza dal luogo dell'attentato in cui, martedì, hanno perso la vita 3 persone e 13 sono gravemente ferite. Una città sotto choc, mentre le forze dell'ordine braccano il killer.
Si trovava anche lei in rue Orfe'vres lunedì sera intorno alle 20?
«Stavo attraversando una laterale che mi avrebbe portato dopo pochi minuti in quel luogo. Ero con i miei due assistenti, eravamo usciti dal Parlamento e stavamo dirigendoci verso il cuore della città. Si sentivano le campane, la musica dei mercatini di Natale. Strasburgo in questa stagione è meravigliosa».
Poi cosa è successo?
«All'improvviso abbiamo sentito degli spari. La gente ha cominciato ad urlare e a correre nella nostra direzione. Davanti a noi un poliziotto in stato di evidente agitazione con la pistola in mano ci ha chiesto di entrare in una galleria parallela: ci hanno fatto defluire verso Nord per distanziarci dal killer, che stava scappando in direzione sud. Alle nostre spalle sono arrivate subito due pattuglie dell'esercito in assetto da combattimento con i mitra».
Vi hanno bloccato in galleria?
«No ci hanno fatto defluire sul luogo del delitto, ma 30 metri più a nord. Lì ci hanno fatto entrare in un grande magazzino. Saremo stati una cinquantina di persone. Inizialmente ci hanno spostato verso i camerini con le luci accese. Ma dopo 20 minuti l'addetto alla sicurezza ci ha chiesto di scendere nel seminterrato. Lì abbiamo trascorso due ore immersi nel buio seduti a terra e sui gradini».
Avevate capito cosa stesse succedendo?
«All'inizio no, cercavamo freneticamente informazioni su internet. Gli stessi addetti alla sicurezza avevano poche notizie. Poi qualche collega bloccato al ristorante ha iniziato a mandare messaggi sull'accaduto e abbiamo cominciato a mettere a fuoco che si trattava di un attacco terroristico».
Qual è stato il suo primo impulso?
«Chiamare la mia compagna e mia madre a Treviso. Ho una figlia neonata, ho pensato a loro e a lei. Erano sotto choc».
Poi è arrivato un nuovo ordine.
«Sì, siamo stati spostati al secondo piano. Ci è stato intimato di metterci pancia a terra nella zona degli uffici e di spegnere le suonerie: era il momento in cui le teste di cuoio hanno tentato il blitz nei palazzi del centro. Eravamo nella costruzione attigua, abbiamo sentito tutto. Purtroppo non sono riusciti a prenderlo. Quando è stato chiaro che era riuscito a guadagnare la periferia e ad uscire dalla città, ci è stato possibile uscire a gruppi di dieci, abbiamo percorso un tracciato scortati dalla polizia. Siamo arrivati al fiume, siamo stati perquisiti e poi ci hanno lasciato ritornare all'albergo. Ma nessuno di noi ha chiuso occhio».
Ieri com'è stata la giornata al Parlamento europeo?
«Volevamo dare un segnale chiaro: abbiamo lavorato come se non fosse successo nulla. Chiaramente il clima era irreale».
Sta pensando di tornare a Treviso prima del tempo?
«No perché polizia e militari stanno braccando l'attentatore fuori dal Paese ed è bene non creare traffico aggiuntivo. Rientreremo in Italia nei tempi che avevamo stabilito prima della tragedia. Certo, oggi anche noi sentiamo l'esigenza di razionalizzare quello che ci è successo. O poteva succederci. C'è tanta tristezza, e siamo tutti col fiato sospeso per Antonio Megalizzi, il giornalista italiano attualmente in coma, e per gli altri feriti».
Elena Filini
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