Scappa con il figlio, condannata

Venerdì 11 Gennaio 2019
Scappa con il figlio, condannata
LA GRANDE FUGA
ROVIGO È tornata in Polonia, di notte, mentre il compagno non c'era, portando con sé il figlio avuto dall'uomo, insieme all'altra sua figlia avuta da una precedente relazione che viveva comunque con loro: per questo, ieri, una 43enne è stata condannata in primo grado dal Tribunale di Rovigo a 2 anni di reclusione per sottrazione e trattenimento di minore all'estero. Una piccola grande vittoria per il papà, un 51enne imprenditore edile rodigino, che da ormai tre anni non ha più la possibilità di abbracciare il proprio bambino, che la donna ha portato a Wloclawek, tra Varsavia e Poznan, quando aveva appena due anni. L'unico incontro libero che ha avuto col figlio, che ormai non parla nemmeno più la sua stessa lingua, è stato, dopo un anno e mezzo, in un McDonald's polacco, per meno di mezz'ora, su disposizione di un giudice di quel Paese a margine di un'udienza del procedimento per il rimpatrio del piccolo nell'ambito della Convenzione dell'Aia del 25 ottobre 1980, attivato dal padre nel 2016.
POLACCHI RIGIDI
Ancora in corso, dopo un primo diniego delle autorità polacche, attualmente in fase di appello. Una dolorosa vicenda familiare, come tante se ne registrano purtroppo in questi ultimi anni e molte proprio con la Polonia. Ccome il caso che ieri è stato affrontato dal giudice Raffaele Belvederi, che ha riconosciuto colpevole di sottrazione e trattenimento di minore all'estero la 43enne, condannandola a 2 anni, oltre alla sospensione dalla responsabilità genitoriale per 4 anni ed al pagamento di una provvisionale da 20mila euro immediatamente esigibile nei confronti del padre, costituito parte civile con l'avvocato Gloria Zanchetto, con l'esatta quantificazione del risarcimento da quantificare in sede civile.
PADRE OSTACOLATO
Il pm Marika Imbimbo aveva chiesto una pena di 2 anni e 4 mesi, sottolineando come la donna «ha completamente ostacolato e quasi reciso il rapporto del padre con il figlio». La fuga risale alla notte del 21 dicembre del 2015, ma come ha spiegato l'avvocato Zanchetto, «ha agito con premeditazione», anche perché era in corso il procedimento civile sull'affido e il mantenimento del piccolo, che poi si è concluso con una sentenza nella quale si dice che il bambino deve stare in Italia. Prima partire, la donna ha anche accusato il marito di maltrattamenti, anche se poi l'uomo è stato poi prosciolto dal giudice per le udienze preliminari. Si era anche rivolta al Centro antiviolenza, raccontando, appunto, di essere stata picchiata dal marito. Come ha spiegato la psicologa del centro, coattivamente accompagnata per essere ascoltata come testimone, non erano stati cercati riscontri, nonostante non ci fossero referti medici né avesse segni di botte o contusioni: era apparsa credibile.
RISARCIMENTO RECORD
Nell'estate del 2015, poi, era tornata per due mesi in Polonia e come ha spiegato l'avvocato Zanchetto, «in quel periodo ha cercato e trovato lavoro, avendo già in mente di abbandonare l'Italia. Ed è andata via con un vero e proprio trasloco, di notte, quando il compagno non c'era. L'ha chiamato per Natale con Skype, ma anche queste comunicazioni si sono poi interrotte quando ha saputo che lui l'aveva denunciata e aveva attivato le procedure per il rimpatrio del figlio». L'avvocato ha chiesto ben un milione di euro come risarcimento per il danno subito dal proprio assistito: «Nessuno potrà mai ridargli il prezioso tempo insieme al proprio bambino che gli è stato rubato».
Francesco Campi
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