Rottami e false fatture: una truffa da 30 milioni

Mercoledì 19 Dicembre 2018
L'INCHIESTA
ROVIGO Una frode fiscale internazionale, con un mulinello di fatture false per un valore di oltre 30 milioni di euro, trasferimenti di rottami ferrosi in realtà rimasti sempre fermi, triangolazioni fra aziende fittizie, alcune addirittura intestate a morti o a persone inesistenti, con giravolte di denaro che partendo da Lendinara rimbalzavano all'estero, dalla Germania agli Emirati Arabi, dalla Tunisia alla Croazia.
ROTTAMI FERROSI
Le vendite fittizie di rottami ferrosi permettevano di gonfiare il prezzo di una stessa partita che veniva acquistata e poi venduta e alla fine, dopo più passaggi, riacquistata a un prezzo superiore senza che si fosse mai mossa. Un gorgo di passaggi nel quale, secondo la Guardia di Finanza di Rovigo, oltre alle false fatturazioni per operazioni inesistenti si sono nascosti anche i reati di riciclaggio, tentata truffa allo Stato, ricorso abusivo al credito e bancarotta fraudolenta.
OPERAZIONE VORTEX
E Vortex, vortice, è proprio il nome che la Finanza ha dato all'operazione culminata con l'arresto di tre persone, la 70enne Anna Maria Raimondi, originaria di Ospedaletto Euganeo ma residente a Lendinara, nonché i due figli Massimo e Stefano Ferro, e con un sequestro per equivalente di 1,7 milioni che va ad aggiungersi a un altro sequestro, eseguito dopo una prima fase di indagini, nel 2016, di 715mila euro per un totale di circa 2,5 milioni ritenuti sottratti al fisco. Oltre ai tre, per i quali lunedì è stata data esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari firmata dal giudice per le indagini preliminari Pietro Mondaini, ci sono anche altri 12 indagati, per la maggior parte veneti, molti dei quali faccendieri con precedenti specifici, e sono saltati fuori anche 5 evasori totali. Le società coinvolte, invece, sono in tutto 23, di cui 11 italiane, con sede a Lendinara, Frassinelle Polesine, San Bellino, Rovigo, a Ospedaletto Euganeo in provincia di Padova, a Romano d'Ezzelino in provincia di Vicenza e Lavagno nel Veronese, e 12 all'estero, in Croazia, in Germania, in Slovenia, in Slovacchia, in Cina, in Svizzera, negli Emirati Arabi e in Tunisia. I dettagli delle elaborate indagini durate oltre tre anni, coordinate dal sostituto procuratore Sabrina Duò, che hanno portato le Fiamme Gialle polesane, oggi guidate dal colonnello Dario Guarino, a ricostruire tutti i complessi passaggi sono stati illustrati ieri nel corso di una conferenza stampa nel quale è stato spiegato come false fatture per 18 milioni siano state scontate in banca, ovvero esibite in vari istituti di credito riuscendo così ad ottenere oltre 10 milioni di euro di finanziamenti che altrimenti non sarebbero mai stati pagati.
AZIENDA FALLITA
Nell'occhio del ciclone, la Stemafer sas di Lendinara, con sede in via dei Bersaglieri, che aveva comunque un volume di affari reale di 7 milioni di euro, per la quale è stato dichiarato il fallimento il 31 gennaio scorso. Era quello il cuore della complessa costruzione finanziaria, in parte solo virtuale. Come ha spiegato il comandante del Nucleo di polizia economico-finanziaria Roberto Atzori un ex dipendente, utilizzato come prestanome, ha detto di aver acquistato un'azienda che aveva come unico bene una Fiat Punto, mentre un'altra testa di legno ha spiegato che gli era stato imposto di divorziare formalmente dalla moglie per evitare problemi in caso di separazioni vere o eventuali testamenti. Due degli arrestati, insieme a una terza persona, ha sottolineato il comandante della sezione tutela economia Nicolino Merlo, sono stati già rinviati a giudizio a Venezia per un procedimento che li vede accusati di tentata truffa ai danni della Regione, perché avrebbero utilizzato lo stesso meccanismo delle triangolazioni con l'estero anche per gonfiare il prezzo di un macchinario triturametallo che serviva alle attività reali, entrando nel 2016 nell'elenco dei beneficiari del Protocollo Polesine per un contributo da 200mila euro.
Francesco Campi
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