Morti Coimpo, lo Spisal conferma: «Nube tossica»

Giovedì 5 Aprile 2018
Morti Coimpo, lo Spisal conferma: «Nube tossica»
ADRIA
Proporzioni che non tornano e presenza di acido solfidrico, gas velenoso dall'odore di uovo marcio. Un fattore, quest'ultimo, già rilevato pochi mesi prima della tragedia all'impianto di Ca' Emo del 22 settembre 2014, costata la vita a quattro lavoratori, i dipendenti di Coimpo, Nicolò Bellato, Marco Berti e Paolo Valesella e l'autotrasportatore Giuseppe Baldan. Sono gli elementi sui quali è incentrato il maxiprocesso che ieri ha vissuto una nuova udienza. Nel corso della mattinata sono state sentite le testimonianze di alcuni colleghi di Baldan, dipendenti della Psc Prima di Marano di Mira, addetti come lui al trasporto di acido solforico. I testimoni hanno parlato delle misure di sicurezza adottate e di alcune consegne fatte all'impianto adriese. In particolare, è stato sottolineato come l'acido solforico non sia tossico ma corrosivo e per questo le protezioni utilizzate puntano a evitare il contatto con pelle e occhi.
LA DEPOSIZIONE
Nel pomeriggio, invece, davanti al giudice Nicoletta Stefanutti si è seduto uno dei testimoni chiave dell'accusa, il tecnico della prevenzione dello Spisal che ha coordinato gli accertamenti di competenza dopo la tragedia. Fra i passaggi più rilevanti della sua deposizione, l'affermazione secondo la quale nella vasca D dell'impianto Coimpo, quella in gestione all'Agribiofert, sarebbero state riversate quel giorno circa 28 tonnellate di acido solforico invece delle 13 che avrebbe potuto contenere in rapporto alle altre sostanze presenti, secondo le proporzioni che sarebbero desumibili da una relazione tecnica del 2007. Non solo, ma sempre secondo il tecnico dello Spisal, in un carteggio fra l'azienda, l'Arpav e la Provincia dell'aprile 2014, incentrato sulla puzza, la Coimpo avrebbe inviato i risultati delle analisi effettuate da Chimicambiente, dalle quali risulterebbe che vicino alla vasca D, il livello di emissioni di ammoniaca e acido solfidrico era «superiore ai limiti di esposizione professionale: per questo sarebbe stato necessario l'uso di specifiche maschere protettive». Sono le stesse emissioni che hanno dato origine alla nube che ha ucciso le quattro vittime.
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