Schiacciato dal muletto Cantiere sotto inchiesta

Martedì 18 Settembre 2018
L'INCHIESTA
VENEZIA Un'inchiesta a 360 gradi per verificare eventuali responsabilità in questa tragedia che ha spezzato la vita di un ragazzo di appena 13 anni. Un atto dovuto, in casi come questi, per chiarire meglio la dinamica dei fatti che hanno portato alla morte di Cristiano Lucchini e i ruoli dei diversi protagonisti. Al lavoro c'è la Procura della Repubblica, che coordina le indagini. Ieri mattina, sul tavolo del sostituto procuratore Andrea Petroni, non erano ancora arrivati gli atti dell'inchiesta. Ma il quadro si andava delineando di ora in ora. E uno dei fronti da approfondire sarà quello delle responsabilità del cantiere Boscolo Bielo dove si è consumata la tragedia. Vista poi l'età della vittima e dell'amico di poco più grande che era con lui, una segnalazione è stata inviata anche alla Procura dei minori.
NON CI SARÀ AUTOPSIA
L'unico punto fermo, al momento, è che non sarà eseguita alcuna autopsia sul corpo del povero Cristiano. Non ci sono dubbi, infatti, su che cosa abbia causato la morte del ragazzo: prima caduto dal muletto che manovrava e poi schiacciato dal pesante mezzo.
I VIDEO DELLA TRAGEDIA
Ad aiutare le indagini, in questa prima ricostruzione, ci sono state le immagini di un sistema di vigilanza vicino al cantiere. Video che sono stati attentamente visionati e hanno permesso di ripercorrere quei momenti fatali: i ragazzi che entrano nel cantiere, Cristiano che aziona il muletto con la chiave, lo manovra, poi perde il controllo... Un gioco sconsiderato finito nel peggiore dei modi, quel che è da capire è se qualcuno poteva (e doveva) evitarlo. In particolare, se i responsabili del cantiere hanno custodito nel modo più corretto l'area e i macchinari.
IL RUOLO DEL CANTIERE
Dai primi accertamenti è risultato che il cantiere era facilmente accessibile. E la norma anti-infortunistica impone al datore di lavoro di tutelare nel migliore dei modi non solo i propri lavoratori, ma anche gli estranei che si trovino a passare in quelle aree. È anche vero che in questo caso i ragazzi sono entrati di proposito in una proprietà privata, di fatto chiusa, impossessandosi delle chiavi del muletto. Tutti aspetti che dovranno essere esaminati attentamente per valutare i possibili profili di responsabilità di chi aveva il compito di garantire la sicurezza di un cantiere potenzialmente pericoloso.
I PRECEDENTI
Nel recente passato ci sono stati almeno due processi a carico di responsabili di aree dove dei ragazzi si erano introdotti mettendo a rischio la loro vita. Entrambi a Mira, entrambi finiti con un'assoluzione. L'anno scorso si è chiuso il processo di primo grado per un incidente del 2012, quando un gruppetto di ragazzini salì sul tetto della piscina di Mira, chiusa per lavori: un 16enne cadde e rimase paralizzato. In sette finirono sul banco degli imputati con l'accusa di non aver garantito la sicurezza del cantiere, ma sono stati assolti. Risale al 2009, invece, la morte di un 18enne entrato con degli amici in una cabina elettrica di Mira, in disuso da anni, ma diventata un traliccio: il giovane rimase folgorato dopo essersi arrampicato sul tetto. In quel caso l'allora capo area dell'Enel finì a processo per non aver garantito le necessarie misure di sicurezza. Ma l'accusa non convinse il giudice che nel 2013 dispose l'assoluzione.
Roberta Brunetti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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