Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria «No fondi? No profughi»

Mercoledì 29 Marzo 2017
Da un lato gli accordi con i Paesi Nord africani, a cominciare dalla Libia, dall'altro l'apertura ai diktat di Bruxelles con il decreto Minniti. L'Italia prova a proteggersi così dal vento dell'Est che soffia anche verso il Nord Europa frenando sulle politiche di redistribuzione dei migranti. È l'unico muro che si possa costruire contro le politiche di Visegrad (Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria) che hanno da tempo contaminato l'Austria, in opposizione alla linea di Bruxelles. Così mentre gli oltranzisti della chiusura delle frontiere ribadiscono la propria posizione, il ministero dell'Interno confida nella linea dura annunciata dal portavoce della Commissione europea per la Migrazione Natasha Bertaud: «Nessun Paese può ritirarsi unilateralmente» dal piano europeo di ricollocamenti, che è «legalmente vincolante. Se lo facessero sarebbero fuori dalla legge e questo sarebbe profondamente deplorevole e non senza conseguenze».
Dopo l'incontro con Fayez al Serraj, la firma del memorandum, l'addestramento dei sottufficiali libici sulla nave San Giorgio, l'Italia prova ad ottenere altre garanzie dalla precaria Libia per arginare il flusso di migranti verso l'Italia. Entro fine luglio altri 250 saranno soldati di Tripoli saranno preparati dalla Guardia di Finanza. E il prossimo step per Marco Minniti riguarderà gli accordi con la Tunisia.
La fiducia sul decreto che sarà votato oggi al Senato rivela quanto pesi per il governo il voto. Allinea Roma alle richieste che Bruxelles avanza da anni. Lo stanziamento ammonta a 19 milioni di euro in tutto per garantire l'esecuzione delle espulsioni, il taglio dei tempi di esame delle domande di asilo, quattordici nuove sezioni specializzate nei Tribunali, ma, soprattutto, l'annunciata creazione dei nuovi Centri permanenti per il rimpatrio in tutte le regioni, esclusi Molise e Valle D'Aosta. E' il cavallo di battaglia che riavvicina l'Italia all'Europa soprattutto sull'annosa questione degli ex Cie e la presunta detenzione, richiesta da Bruxelles, dei migranti da rimpatriare.
La linea non cambia: no al «ricatto» dell'Ue che lega la politica migratoria a quella finanziaria, riducendo gli aiuti a chi non accoglie i profughi. L'accusa dei paesi del Gruppo Visegrad, riunito a Varsavia per un mini-vertice sui migranti e sulla Brexit, non consente margini di manovra. E a conclusione dell'incontro il premier ungherese Victor Orban aggiunge in conferenza stampa: «Se dovesse saltare l'accordo con la Turchia, l'Ungheria fermerà i migranti, grazie al muro e alle nuove leggi sull'asilo. Le barriere, costruite solo con soldi ungheresi, ci permetteranno di bloccare un'eventuale nuova ondata migratoria, servono alla sicurezza dell'intera Unione europea, perché possono difendere non solo questo paese ma anche l'Austria e la Germania dalle nuove ondate di profughi. I nuovi regolamenti, criticati dall'Onu e dalla Ue, secondo il premier, «renderanno impossibile l'ingresso illegale in Europa dei migranti». Intanto il cancelliere austriaco Christian Kern si rivolge proprio a Bruxelles chiedendo «comprensione» per l'intenzione di disapplicare il piano di ricollocamento dei migranti. «Non siamo agenti provocatori», ha sottolineato Kern affermando che Vienna «di certo non cercherà un procedimento di infrazione con Bruxelles». La procedura - ha aggiunto - «addirittura è pro-europa. Gli impegni, presi a livello europeo, di per sé vanno rispettati per il bene della comunità», ha detto Kern, ricordando però il numero di migranti e profughi che attualmente soggiornano già in Austria. Ma sulla questione anche il governo austriaco è spaccato.
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