«Per noi Gilberto è stato un modello Gli insulti social? Poco edificanti»

Mercoledì 24 Ottobre 2018
«Per noi Gilberto è stato un modello Gli insulti social? Poco edificanti»
Dice di essere sinceramente «dispiaciuto». Perché Gilberto Benetton non era solo un grande trevigiano, era l'esponente di una famiglia di imprenditori che è diventata il simbolo del made in Veneto. «Era la prova che, volendo, ce la si può fare - dice il governatore del Veneto, Luca Zaia - Per un'intera generazione, quella degli anni Ottanta, era un simbolo. E ora trovo poco edificante la campagna sui social dei soliti leoni da tastiera nei confronti di una persona che è appena morta, la pietas è una prerogativa della civiltà. Così come trovo stucchevole far finta che Benetton non sia stato un modello per i trevigiani».
Presidente, conosceva bene Gilberto Benetton?
«Non lo frequentavo, l'ultima volta che l'ho visto è stato la scorsa primavera, un incontro occasionale. Ero andato a vedere la mostra Imago Mundi e in quella occasione Luciano Benetton ha voluto mostrarmi il restauro dell'ex Tribunale diventata sede del Gruppo Benetton. E lì, camminando, abbiamo incrociato Gilberto. Ci siamo seduti un attimo a parlare. Poi l'ho reincrociato a giugno all'assemblea degli industriali Veneto Centro».
Di lì a poco avrebbe perso il fratello Carlo.
«Sì, è stato un anno horribilis per la famiglia. Prima la morte del marito della signora Giuliana. A luglio il signor Carlo. Ad agosto il crollo del ponte di Genova che di certo ha lasciato un segno nella famiglia. E adesso Gilberto».
Cosa hanno rappresentato Gilberto Benetton e i suoi fratelli per Treviso e per il Veneto?
«I Benetton sono stati un modello. Tutti noi da ragazzi sentivamo raccontare questa storia di gente senza una lira, neanche gli occhi per piangere come diceva Luciano, che ha dimostrato che volere è potere. E sono stati emulati. Quanti ragazzi che negli anni Ottanta hanno fatto la maggiore età hanno pensato di fare lo stesso. Perché i Benetton hanno dimostrato che si può: senza una lira si sono inventati un business, hanno cambiato il settore del tessile, la loro è stata una rivoluzione industriale paragonabile ai grandi fenomeni, al 4.0 di adesso».
Se lo ricorda il primo negozio United Colors of Benetton?
«Mi ricordo che nei primi anni Ottanta era mitologico comprarsi una Lacoste - per me inarrivabile - o una Benetton, la famosa t-shirt che portavano tutti nel film Sapore di sale sapore di mare. In un mondo ancora grigio, i Benetton hanno riempito i loro negozi di colori. E con l'innovazione di tingere su richiesta».
Qual era l'atteggiamento dei trevigiani?
«In quegli anni lì di assoluta emulazione. Il Benetton era ritenuto uno che ce l'aveva fatta. E se ce l'aveva fatta lui, ce la potevamo fare anche noi».
Come erano considerati?
«Si sapeva che erano self made men, si sapeva che erano uomini e donne del popolo, hanno rappresentato il riscatto sociale del popolo. Perché non erano dei notabili che avevano ereditato beni e moltiplicato pani e pesci: quando sono partiti erano senza pani e senza pesci. Gilberto e i suoi fratelli sono stati un doppio modello. Erano gli anni delle partite Iva, del boom economico. Non è un caso che Treviso sia diventato il distretto del tessile: nel bene o nel male sono stati attori di questo fenomeno. E l'altro aspetto per cui venivano emulati è perché venivano dal popolo. Il loro punto di contatto popolare è stato per anni lo sport: il basket, il volley, il rugby che è lo sport in assoluto dei trevigiani e dei veneti. Era Gilberto l'uomo dello sport. E si era impegnato anche nel tema della disabilità».
Era alla mano, avvicinabile?
«Era molto low profile. Riservato. Non assente, ma silente».
A un certo punto diversificano. Non più solo maglioni, dalla manifattura passano ai servizi, al terziario. La mente finanziaria era Sior Gilberto. Una svolta naturale?
«È la storia di tutte le grandi famiglie che hanno possibilità e che a un certo punto, intelligentemente, diversificano il business anche per distribuire il rischio. Se oggi Benetton avesse solo il tessile magari qualche problema ce l'avrebbe».
L'attaccamento alla famiglia è un tratto veneto?
«Ma certo. I riferimenti dell'imprenditore veneto sono la famiglia e i suoi collaboratori. In ogni impresa dove vado trovo sempre il primo operaio. Quella dei Benetton è una storia tutta veneta, ovviamente con una visibilità internazionale perché sono cresciuti. Esempi in Veneto ne abbiamo: De Longhi, Renzo Rosso, Del Vecchio».
Nell'anno horribilis della famiglia Benetton ci sono anche i 43 morti di Genova. Quanto può aver pesato la tragedia del ponte Morandi su Gilberto Benetton, su un fisico già provato dalla malattia?
«Di certo io penso che non sia passata indolore. Col senno di poi, sapendo delle sue condizioni di salute, forse qualcuno si potrebbe chiedere perché in giro non si vedeva Gilberto».
Non si è visto e non ha parlato per quaranta giorni, per poi spiegare che «dalle nostre parti il silenzio è considerato un segno di rispetto».
«Il crollo del ponte Morandi è un fatto terribile, che lascia una ferita indelebile nella nostra comunità e penso che abbia lasciato un segno nella famiglia di Gilberto. Ma i processi si celebrano nei tribunali, non per strada o sui social. Chi ha sbagliato dovrà pagare. Ma trovo assolutamente poco edificante la campagna dei leoni da tastiera sui social nei confronti di una persona che è morta. La pietas è una prerogativa della civiltà».
Lei è stato tra i primi lunedì sera a esprimere cordoglio.
«A me è dispiaciuto perché intanto se ne è andato una persona che conoscevo ed esprimo cordoglio alla moglie, alle figlie, ai fratelli, ai familiari. Checché se ne dica, Gilberto Benetton ha fatto la storia dell'imprenditoria. Magari qualche collega che adesso fa lo snob si dimentica che all'origine guardava Gilberto con ammirazione. Forse i Benetton pagano il conto di aver tenuto un basso profilo e una riservatezza tipicamente veneta. Sono stati un modello, hanno fatto cose importanti per la nostra comunità, hanno fatto anche loro errori nel business, come tutti. E oggi forse varrebbe la pena rispondere come rispose Gilberto: anche il silenzio è una forma di rispetto».
Ma il silenzio della politica su questo lutto è stato assordante. Come lo spiega?
«Non è una sorpresa. Non giudico. Io rispondo alla mia coscienza e all'educazione che ho avuto dai miei genitori. Certo, la vittoria ha moltissimi padri, la sconfitta è orfana».
Alda Vanzan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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