M5S ci riprova con Di Maio Braccio di ferro su Savona

Mercoledì 23 Maggio 2018
IL RETROSCENA
ROMA Dopo l'euforia di lunedì, quando Luigi Di Maio e Matteo Salvini scendendo dal Colle avevano annunciato urbi et orbi la nascita del governo giallo-verde, ieri è stato il giorno degli attriti. Facce buie e tese. Perfino qualche ringhio.
Tutto comincia con l'ennesimo vertice (a pranzo) tra i due leader in una mensa del centro storico, lontani da occhi indiscreti. Nel faccia a faccia, dopo qualche minuto di chiacchiere e battute, viene al pettine il nodo del ministro dell'Economia. E qui il gioco, assente il promesso premier Giuseppe Conte, si fa immediatamente duro.
IL DISCORSETTO
Di Maio, che da tempo si fa portatore delle istanze del Quirinale e delle «ragioni del buonsenso» anche perché non ha mai abbandonato l'idea di essere lui il prescelto per palazzo Chigi, mette a verbale un discorso che suona più o meno così: «Dobbiamo essere realisti, tu proponi Paolo Savona e capisco le tue ragioni. Ma quel nome passerebbe con difficoltà il vaglio del Colle: Savona è diventato l'icona dei no-euro. Ricordati che Mattarella ci ha detto che dobbiamo stare molto attenti a lanciare segnali che possano allarmare i mercati finanziari e mettere a rischio il risparmio degli italiani».
Di fronte al disco (quasi) rosso versus Savona, Salvini si è immediatamente irrigidito: «Caro Luigi, vorrei ricordarti che questa scelta sull'Economia fa parte di un pacchetto complessivo. Se salta Savona, salta l'intero accordo. E si ricomincia da capo». Davanti alla rispostaccia, il capo 5Stelle non ha forzato la mano.
LA SPONDA PER IL COLLE
C'è da dire che l'allineamento di Di Maio all'impostazione del Quirinale non è estemporaneo. Da quando la trattativa è entrata nel vivo, il leader grillino si è mosso per rendere «praticabile» e «realistico» il governo tra 5Stelle e la Lega. E per questa ragione ha indicato nomi europeisti in grado di bilanciare quello Savona e che possono ottenere senza problemi la bollinatura del capo dello Stato: l'ambasciatore Giampiero Massolo agli Esteri e Enzo Moavero Milanesi agli Affari europei, incarico che ha già ricoperto che Mario Monti e con Enrico Letta. Inoltre, Di Maio ha risolto un nodo che rischiava di diventare molto intricato agli occhi quirinalizi: dopo la rinuncia di Guido Crosetto (FdI) a andare alla Difesa, ha proposto la sua Elisabetta Trenta. Così verrebbe aggirato l'assedio leghista all'intero comparto-sicurezza, dopo che Salvini ha prenotato gli Interni e il suo braccio destro, Giancarlo Giorgetti, la delega ai Servizi segreti.
Finito il vertice, Di Maio incontra i giornalisti entrando a Montecitorio e non è dell'umore migliore: «Stiamo cercando di fare un governo», si limita a dire laconico. Sul fronte Lega, invece, parlano di «clima sereno e costruttivo»: «Si va avanti, stiamo discutendo gli ultimi dettagli in attesa della convocazione di Mattarella».
Peccato che nel frattempo, a causa del clamore innescato dalla pompatura del proprio curriculum, dal Quirinale non arrivano notizie su Conte. Nessuno parla più di incarico per il giorno successivo. E tra i deputati 5Stelle, paradossalmente, serpeggia euforia: «Conte traballa». «Conte è troppo debole, non può essere lui il premier. Ah, se fosse Di Maio...». Pensare che il promesso premier è in quota grillina, era nel governo presentato dai 5Stelle agli elettori prima delle elezioni. «Ma siamo pronti a sacrificare Conte pur di avere Luigi a palazzo Chigi», sussurra un dirigente 5Stelle, «anche il Quirinale gradirebbe questo epilogo».
LA REAZIONE
Di sicuro, non la Lega e tantomeno Salvini però. Tant'è, che mentre qualche grillino scarica il suo potenziale presidente del Consiglio sperando nella resurrezione del loro capo, sono i leghisti a blindare Conte: «Non mi sembra affatto che traballi», osserva il numero due della Lega, Lorenzo Fontana. E Salvini, con i suoi, va giù netto: «Se non è Conte, non è nessuno. A Di Maio abbiamo detto no e continuiamo a dire di no. Se insiste, si va sparati alle elezioni». E Gian Marco Centinaio, il capogruppo in Senato: «Di Maio premier? Non siamo mica a carnevale...».
Insomma, Salvini e i suoi minacciano la rottura. Fanno sapere di essere pronti a rinunciare al governo che avevano celebrato e acclamato poche ore prima. E alzano un muro, il più alto possibile, perché temono che l'opzione-Di Maio sia ancora la apprezzata sul Colle dove lunedì, Mattarella, ha fatto ben presente ai due leader i rischi insiti nella scelta di un premier terzo, senza la necessaria autorevolezza frutto della legittimazione elettorale.
IL NASO IN CASA LEGHISTA
In più, Salvini è molto irritato dal tentativo dei 5Stelle di mettere il naso in casa Lega: non solo tentando di bloccare Savona, ma rispolverando per l'Economia l'ipotesi di Giorgetti, il leghista di buonsenso e dal passo felpato che piace anche a Mattarella. Con un problema non da poco: il diretto interessato, per nulla entusiasta del contratto con i grillini, non ha alcuna intenzione di trasferirsi nel dicastero di via XX Settembre.
Per provare a calmare l'alleato, in serata i 5Stelle (in massa) corrono a dire che «Conte è il premier, non si cambia. Siamo gente seria, noi». Lo schema è chiaro: i grillini ufficialmente difendono il loro Conte, ma visto che si è indebolito, sperano che sia Mattarella a imporre Di Maio e Salvini. Speranza che appare però un'illusione: sul Colle sanno che puntare sul leader grillino significherebbe probabilmente sancire la fine (prima della partenza) del governo giallo-verde. Dopo di che, se non dovesse scattare il tentativo del governo neutrale ci sarebbero solo le elezioni. Non a caso Di Maio in persona in serata mette nero su bianco: «Nessun ripensamento, il nostro nome resta Conte». Amen.
Alberto Gentili
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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