«Lui era l'uomo d'ordine e il punto d'equilibrio ma ti lasciava sbagliare»

Martedì 23 Ottobre 2018
«Lui era l'uomo d'ordine e il punto d'equilibrio ma ti lasciava sbagliare»
«Sono senza parole, la parte migliore della mia vita l'ho vissuta con lui». Gianni Mion ha la voce grave, la morte di Gilberto Benetton è stata una mazzata e l'ha colto di sorpresa: «Sembrava che fosse in netto miglioramento... dire che mi dispiace è poco. È difficile, difficile, difficile. È un pezzo della mia vita che se ne va. Per me è una tragedia, un grandissimo dispiacere, per lui e per la sua famiglia, erano molto uniti». Per trent'anni il padovano Mion è stato il manager di fiducia della holding di famiglia trevigiana. Con Gilberto Benetton hanno costruito quella diversificazione che ha portato Edizione Holding a 12 miliardi di patrimonio con attività in tanti e diversi comparti dell'economia, dagli Autogrill a quelle autostrade che tanto hanno fatto soffrire in questi ultimi mesi, passando prima dai supermercati Gs e dalle società finanziarie per arrivare a Mediobanca e Generali, il tutto senza dimenticare la culla del gruppo: United Colors. Poi nel 2016 la separazione, con Mion che prende altre strade tra imprese da quotare e l'avventura da presidente di Popolare Vicenza. E Gilberto che resta a guidare la rivoluzione manageriale di Edizione con il consueto tatto e grandissima attenzione.
Per la famiglia Benetton questo 2018 è veramente un anno orribile.
«Prima il cognato, poi il fratello... proprio al funerale del signor Carlo, mentre usciva dalla chiesa, mi ha stretto la mano. Per trent'anni abbiamo lavorato insieme, abbiamo condiviso grandissime sfide, ansie, errori, costruito un gruppo diventato internazionale».
Chi era Gilberto Benetton?
«Era il punto di equilibrio della famiglia, di tutto».
E ora che succederà a Edizione e alle tante attività del gruppo?
«Non sono preoccupato, non vedo problemi all'orizzonte. I figli ormai hanno cinquant'anni, ci sono manager di grandi capacità. È come se camminassero su un materasso altissimo. Adesso ci sono strutture, dirigenti, aziende, sono tremendamente più forti di prima. Dal punto di vista dell'impresa non cambierà nulla».
Grazie a lui la famiglia era unita?
«I quattro fratelli Benetton erano come le dita della mano, alla fine quando si prendeva una decisione erano compatti, uniti. Come ha dimostrato anche il rilancio dell'United Colors».
La più grande qualità di Gilberto Benetton?
«Ti dava fiducia, ti lasciava sbagliare. E poi era paziente. L'uomo visionario è sempre stato Luciano, lui era l'uomo d'ordine, che legava».
Lo sport era la sua grande passione?
«Era appassionatissimo, un grande sportivo. Tutta la famiglia ama lo sport, ma lui di più. Era un baskettaro, gli piacevano anche pallavolo e il rugby, ma era il basket la sua passione. Era rimasto sempre a contatto con gli ex allenatori, i giocatori, andava a trovarli anche in Usa».
Si sarà pur arrabbiato qualche volta con lei, qualche affare è andato anche storto...
«Era molto più facile che mi arrabbiassi io con lui. Il signor Gilberto era pacato, e tranquillo. Con me non si è mai arrabbiato. Forse non ha gradito come sono andato via, ma alla fine ci siamo stretti la mano. È come nello sport, prima o poi si deve cambiare. Io sono durato un po' di più di tanti altri manager».
Trent'anni. Come siete riusciti a collaborare così bene?
«Avevamo due stili diversi, ci compensavamo. Siamo cresciuti insieme nei rispettivi ruoli: abbiamo fatto esperimenti, errori, e che errori! Nessuno dei due era abituato a certe situazioni e a certi ambienti. Ma io l'ho sempre ringraziato».
Perché?
«Io venivo dalla serie C e lui mi ha fatto giocare in Champions League».
La sua più grande qualità?
«Lui che veniva dalla Benetton, cioè da un'azienda leader e di famiglia, è stato capace di condividere con altri soci importanti un percorso di diversificazione. E questo, le assicuro, non è tipico degli imprenditori italiani. Ha saputo condividere, aprendo anche il capitale. L'ha fatto con Gs, con gli Autogrill, con Gemina, Autostrade, con tutti. E faceva sempre molta attenzione alle istanze dei soci. Di tutti i soci».
Eravate amici?
«Mai cercato e voluto dargli del tu, ci davamo del lei senza problemi. Sono sempre stato scettico su queste grandi amicizie tra datore di lavoro e manager o dipendenti. C'era e c'è grandissimo rispetto per lui e la sua famiglia. Tantissima gratitudine».
Maurizio Crema
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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