LO SCENARIO
ROMA C'è un'immagine che più di ogni altra potrebbe simboleggiare

Sabato 18 Novembre 2017
LO SCENARIO
ROMA C'è un'immagine che più di ogni altra potrebbe simboleggiare la vittoria dello Stato sulla guerra di mafia: è quella di Totò Riina seduto su una vecchia sedia di legno davanti alla foto del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. È il 15 gennaio del 93, il capo dei capi è stato appena arrestato, mettendo fine così a 24 anni di latitanza. Sono stati i carabinieri comandati da Capitano Ultimo a farlo sedere davanti all'immagine del prefetto di ferro ucciso vigliaccamente. «Una piccola rivincita», ricorda oggi uno degli ex membri della squadra. Ma anche la linea di demarcazione che segna la parabola discendente del boss che aveva provato a sferrare l'attacco allo Stato. Una strategia della tensione che arriva alle stragi di Falcone e Borsellino.
Ora Totò Riina è morto, portando con sé tutti i segreti. Ma morto un Papa se ne fa un altro, anche se la scelta di un nuovo capo presuppone l'esistenza di un concistoro. E al momento, Cosa nostra, a parte il superlatitante Matteo Messina Denaro, non sembra avere figure così carismatiche, tantomeno una cupola in grado di governare l'organizzazione. Nei 24 anni passati al 41 bis, il capomafia non ha perso lo scettro, perché una antica regola gli ha riconosciuto il ruolo anche durante la detenzione. Tanto che da quel giorno la Cupola non è stata più riconvocata. Nel frattempo gli inquirenti hanno messo a segno una serie di colpi: arresti, sequestri di denaro, confische, e il tessuto dei clan è stato lacerato. Dire, però, che Cosa nostra sia scomparsa o in difficoltà, è un azzardo.
LE SCARCERAZIONI
Negli ultimi mesi trecento capi storici sono tornati in libertà, e tra questi anche Giovanni Grizzaffi, nipote prediletto di u curtu. Ha 70 anni e insieme con gli altri sta conducendo una vita riservata, riducendo al minimo gli incontri con eventuali affiliati. Ma le fibrillazioni ci sono, i segnali di ripresa di una guerra si sono fatti sentire nel giorno dell'anniversario della strage di Capaci, quando è stato ucciso Giuseppe Dainotti, boss di Porta nuova ed ex fedelissimo del capomafia Salvatore Cancemi. Su di lui confidano in tanti, e gli investigatori non lo mollano. Un po' per la parentela di rilievo e per la volontà del clan di Riina di mantenere saldo il potere. Un po' per quelle intercettazioni nelle quali lo zio diceva: «Io ho delle proprietà, queste proprietà metà sono divise ogni mese, ogni mese ci vanno, perché? Perché sanno che è mio nipote. Queste proprietà sono metà mia e metà di mio nipote». È lui uno dei beneficiari del tesoro del boss?
Nella corsa alla successione figura anche Matteo Messina Denaro, che vanta il merito di essere riuscito a farla franca per 25 anni. Ma ha il limite di essere accerchiato dalla giustizia e di provenire dalla provincia di Trapani, mentre una regola di Cosa nostra vorrebbe che il capo fosse palermitano, dopo trent'anni di dominio corleonese. E poi Messina Denaro non era amato da Riina. Intercettato nel carcere di Opera, il boss lo apostrofa: «Questo si sente di comandare...ma non si interessa di...non combatte lo Stato. Era uno dritto, ma non ha fatto niente. Io penso che se ne sia andato all'estero». Alcuni pentiti hanno dichiarato che al capomafia latitante sarebbero stati consegnati i documenti che erano contenuti nella cassaforte di Riina. Quelli spariti dopo l'arresto, durante i ritardi misteriosi della perquisizione, quando la casa venne fatta trovare pulita, sgombra di mobili e riverniciata.
IL PATRIMONIO
Cosa succederà ora non è facile ipotizzarlo. Gli inquirenti restano in attesa di eventuali mosse, e continuano ad assestare colpi soprattutto economici. Da anni, infatti, si sente parlare del tesoro di Riina, di quei soldi che permettono alla famiglia di godere di una vita agiata. «Io, se pure recupero un terzo di quello che ho, sempre ricco sono», sosteneva Totò, intercettato in carcere. Anche se la figlia Lucia, quest'anno, ha scritto al comune di Corleone spiegando di avere diritto al bonus bebè. Richiesta respinta dalla commissione prefettizia che guida il Municipio. Mentre il 19 luglio il Ros ha sequestrato alla famiglia beni per 1,5 milioni di euro. Molti altri soldi, poi, avrebbero preso la via dell'estero. Se è vero che Vito Roberto Palazzolo, alias Robert von Palace Kolbatshenko, tornato in Italia nel 2013, perché estradato dalla Thailandia, è stato il cassiere internazionale di Riina, ma anche di altri capimafia siciliani come Bernardo Provenzano. Gli investimenti del boss dei boss sarebbero stati ripuliti proprio da lui in paradisi fiscali e anche in Svizzera. Il suo collegio di difesa ha sempre smentito questa ipotesi, e Palazzolo nega anche di avere mai avuto a che fare con la mafia.
Cristiana Mangani
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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