Le strade aperte per Londra: niente accordo, voto o rinvio

Mercoledì 16 Gennaio 2019
IL RETROSCENA
ROMA I Beatles l'avrebbero chiamata The long and winding road. Una strada lunga e tortuosa. Soprattutto, una strada che potrebbe rivelarsi un vicolo cieco, con l'unica uscita di una Brexit senza accordo. No deal. È la strada che si appresta a percorrere Theresa May dopo la bocciatura, ieri sera, del complesso accordo con l'Unione europea sull'abbandono dell'Unione il 29 marzo. Gli scenari che si aprono sono disparati e nessuno più prevedibile degli altri. Forse il meno improbabile è il congelamento del termine del prossimo marzo fino a luglio, per un surplus di trattativa che richiede però il passaggio delle forche caudine della sfiducia presentata (per il voto oggi) dal leader dell'opposizione, il laburista Jeremy Corbin.
LA SCADENZA
Se Westminster mandasse a casa la May si dovrebbe sciogliere il Parlamento e se in due settimane non sarà possibile formare un nuovo esecutivo con un leader Tory diverso da Theresa, entro 25 giorni si dovrebbero indire le elezioni e si avvicinerebbe drammaticamente il termine del No Deal a fine marzo. Perché la scadenza venga congelata, occorre non solo il favore del Regno Unito, cioè del Parlamento, ma anche l'assenso dei 27 membri superstiti della Ue.
Se invece oggi la mozione di sfiducia laburista non passerà (e l'opposizione di Corbyn mancherà l'obiettivo principale, irrigidendosi in una opposizione ancora più pervicace), la May potrebbe tentare la carta disperata messa a disposizione da una risoluzione non a caso adottata la scorsa settimana dalla Camera dei Comuni, che concede al governo tre giorni lavorativi di tempo, fino a lunedì, per presentare al Parlamento un nuovo Piano.
Ma più che l'incertezza sulla reazione del resto della Ue di fronte al rigetto dell'accordo, pesano le divisioni delle (e dentro) le forze politiche britanniche. Possibile che passi in soli tre giorni un compromesso che in tutti questi mesi non è stato possibile definire secondo una ricetta per Westminster commestibile?
Del resto, l'Unione Europea dovrebbe a sua volta ottenere da una riapertura del negoziato qualcosa che Londra non è in grado di offrire: restare nel mercato interno o nell'unione doganale, rinunciando a riprendere la sovranità sull'immigrazione dai Paesi Ue e poter fare autonomamente una politica commerciale svincolata da regole e vincoli comunitari.
LE ALTERNATIVE
Certo, se passa la mozione di sfiducia di Corbyn, o se la May non sarà in grado, confermata alla guida dell'esecutivo, di mettere le mani in tre giorni a un'ipotesi appetibile per Bruxelles (e puntare poi a dilatare i tempi del negoziato col rinvio a luglio), c'è sempre l'eventualità del No Deal, nessun accordo, che secondo gli osservatori avrebbe effetti drammatici sia sul Regno Unito, sia sulla Ue. Al punto che il presidente del Consiglio Europeo, il polacco Donald Tusk, in un tweet azzarda: «Se un accordo è impossibile, e nessuno vuole un No Deal, chi avrà alla fine il coraggio di dire qual è l'unica soluzione positiva?».
Ovvia allusione alla ripetizione del referendum o, più precisamente, a un secondo referendum. Che però oggi è ancora più difficile di ieri, perché sull'intesa si è espresso il Parlamento, quindi la proclamazione di una nuova consultazione sarebbe non soltanto un sottile tradimento della prima, ma anche una sconfessione dell'assemblea rappresentativa. Inoltre, perché si possa indire una seconda consultazione referendaria occorrerebbe che il Labour ne accettasse l'idea, e non perseguisse al contrario l'abbattimento del governo Tory e il ritorno alle urne.
C'è pure un'ipotesi improbabile, ma sulla carta possibile, per cui bocciata la mozione di sfiducia, riscontrata l'impossibilità di fare un nuovo accordo, lo stesso governo della May comunichi l'uscita dall'Unione nel termine previsto del 29 marzo, senza neppure metterla ai voti. Westminster dovrebbe prenderne atto e la strada lunga e tortuosa si schianterebbe contro un muro.
Marco Ventura
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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