LA POLEMICA
ROMA Uno scontro frontale, di quelli che lasciano sull'asfalto feriti

Lunedì 16 Luglio 2018
LA POLEMICA
ROMA Uno scontro frontale, di quelli che lasciano sull'asfalto feriti e probabilmente anche morti. Tre ministri da una parte (Salvini, Di Maio, Tria) e il presidente dell'Inps dall'altra. Le relazioni tra due istituzioni così importanti del Paese che ne escono accartocciate. E forse non sarà l'unica conseguenza della polemica sui posti persi a causa del decreto dignità.
La prima cannonata arriva a fine mattinata con un comunicato congiunto del ministro dell'Economia, Giovanni Tria, e del ministro del Lavoro e Sviluppo Economico, Luigi Di Maio. Sin dalle prime battute si capisce che è stato molto sofferto. Le accuse dell'altro giorno da parte di Di Maio sulla manina che all'ultimo momento ha inserito quella stima di 8.000 contratti persi all'anno, dovevano essere chiarite. E infatti il comunicato precisa: Di Maio «non ha mai accusato né il Ministero dellEconomia e delle Finanze né la Ragioneria Generale dello Stato di alcun intervento nella predisposizione della relazione tecnica al dl dignità. Certamente, però - continua il comunicato - bisogna capire da dove provenga quella manina che, si ribadisce, non va ricercata nell'ambito del Mef». A sua volta Tria afferma che «le stime di fonte Inps sugli effetti delle disposizioni relative ai contratti di lavoro contenute nel decreto sono prive di basi scientifiche e in quanto tali discutibili». La Ragioneria generale dello Stato non c'entra niente: ha solo «preso atto» delle stime fornite dall'Inps, e anzi ha da subito avuto dubbi su quelle previsioni, tanto che vista la loro «inevitabile incertezza» ha chiesto «la clausola di monitoraggio», ovvero un controllo trimestrale sugli effetti delle disposizioni. Monitoraggio che, in base al decreto, farà lo stesso Inps.
LA MANINA
A questo punto è chiaro che il governo ha individuato a chi appartenga la manina: è del presidente Inps Tito Boeri. È da lì che sono arrivate le stime «discutibili» sulla perdita dei posti di lavoro. E affinché sia chiaro, al di là di ogni ragionevole dubbio, che proprio lui - secondo il governo - è il colpevole della tempesta, da Mosca arrivano anche le parole inequivocabili del vicepremier Matteo Salvini: «Il presidente dell'Inps continua a dire che la legge Fornero non si tocca, che gli immigrati ci servono perché ci pagano le pensioni, che questo decreto crea disoccupazione. In un mondo normale se non sei d'accordo con niente delle linee politiche, economiche e culturali di un governo, ti dimetti».
Come era ovvio la replica di Boeri è infuocata: «Siamo ai limiti del negazionismo economico» dice a Tria e a Di Maio; mentre a Salvini risponde: «I dati non si fanno intimidire».
Nella nota Boeri parla di «attacco senza precedenti» da parte del governo «alla credibilità di due istituzioni nevralgiche per la tenuta dei conti pubblici nel nostro paese e in grado di offrire supporto informativo alle scelte del Parlamento e all'opinione pubblica». Entrando nel merito ricorda che sia «l'evidenza empirica che la teoria economica» in caso di aumento del costo del lavoro (previsto dalle nuove norme sia per i contratti a termine che per le assunzioni a tempo indeterminato con l'aggravio delle sanzioni per i licenziamenti) «prevedono unanimemente un impatto negativo sulla domanda di lavoro». Ovvero «riduzione dell'occupazione». Ed ecco che arriva la nuova bordata: «La stima dell'Inps è relativamente ottimistica», visto che prevede che solo il 10% dei contratti a tempo determinato che arrivano al tetto massimo di 24 mesi non sono trasformati in altri contratti, trasformando in disoccupati i titolari.
LA CACCIA
Come dire: Di Maio, Tria e Salvini dovrebbero ringraziare e non attaccare perché la manina dell'Inps ci è andata pure leggera, sapendo che forse quei numeri erano sottovalutati. Per esempio non sono stati contemplati «aggravi occupazionali legati alle causali». Detto ciò Boeri sottolinea: «In termini assoluti l'effetto è trascurabile: si tratta dello 0,05% dell'occupazione alle dipendenze in Italia». E quindi «se l'obiettivo del provvedimento era quello di garantire maggiore stabilità al lavoro e più alta produttività in futuro al prezzo di un piccolo effetto iniziale di riduzione dell'occupazione, queste stime non devono certo spaventare». Diversa invece è la caccia a chi non si allinea alla propaganda. Boeri lo dice chiaramente: «Spaventa questa campagna contro chi cerca di porre su basi oggettive il confronto pubblico».
Di fronte a un tale duello ovviamente l'opposizione non poteva restare in silenzio. La più scatenata è Forza Italia. A Roma, tra gli altri, la capogruppo alla Camera, Mariastella Gelmini, chiede che governo e Inps riferiscano in Parlamento. E sulla questione interviene anche il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che invoca l'intervento chiarificatore della Corte dei conti: «Gli italiani hanno diritto di sapere dove è la verità» scrive in un twitter, per poi auspicare «una vera e propria immediata due diligence della Corte dei conti. È l'unico organo indipendente - precisa - che può dare un giudizio sui conti pubblici».
Giusy Franzese
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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