La Lady di gomma però tira dritto e punta alla resa dei conti nel partito

Mercoledì 16 Gennaio 2019
IL FOCUS
LONDRA La figlia del vicario non è tipo da mollare. Più che una premier, Theresa May sembra ormai l'amministratore fallimentare di un fallimento da lei creato quando, in un passato che appare ormai remotissimo, aveva deciso di affrontare il suo compito di realizzare la Brexit con tutto il puntiglio del caso: aveva tracciato sul quaderno le linee rosse rispetto alle quali non avrebbe ceduto di un millimetro e si era premurata di indicare anche una data precisa, con tanto di ora esatta, per mostrare al mondo il suo risultato.
Peccato che le prime escludessero benefici enormi come la partecipazione al mercato interno e la seconda, il 29 marzo 2019 alle 11 di sera, fosse troppo ravvicinata per lasciare il tempo di ricucire l'enorme faglia che si era creata nel paese dopo il referendum del 2016. Remainer con una reputazione di intransigenza marziale in materia di immigrazione, la May viene da una di quelle scuole pubbliche per studenti meritevoli, le grammar schools, i cui ex allievi conservano per sempre un senso del dovere implacabile alimentato dalla gratitudine per essere stati strappati al loro destino di figli di famiglie semplici.
Molti osservatori hanno notato come proprio questo tratto sia la principale garanzia del fatto che l'ex ministro dell'Interno, sessantaduenne senza figli, sposata con il fedele Philip, incontrato negli anni di studi e militanza politica a Oxford, non mollerà fino a quando la Brexit non avrà un capo e una coda, a meno che non la trascinino via di peso. Come la regina Elisabetta II, non ha nessuna intenzione di abdicare e lo ha detto chiaramente, anche se il suo ruolo di crocifera del tema più delicato della storia recente britannica non è certo di quelli che la gente invidia.
LA RESISTENZA
La sua capacità di resistere alle umiliazioni ha iniziato a destare una certa ammirazione da parte dell'elettorato, che si fida di lei anche se odia il suo accordo con Bruxelles: l'hanno vista uscire malamente delle elezioni da lei stessa indette, assistere alle dimissioni di una trentina di membri senior e junior del governo, subire i costanti attacchi degli old boys dei Tories - da Boris Johnson che le sta alle calcagna da anni a George Osborne che ha detto di volerla a pezzi nel suo frigo -, continuare a parlare nonostante una raucedine paralizzante e il crollo delle lettere del suo slogan, subire una serie di sconfitte parlamentari con l'impassibilità di una Giovanna d'Arco.
LA MISSIONE
Aveva promesso di essere una leader «forte e stabile», una «donna tremendamente difficile», agitando l'inevitabile fantasma della Iron Lady Maggie Thatcher. È finita paralizzata nelle sabbie mobili da lei create quando ascoltava il suo consigliere Nick Timothy, un Rasputin working class che ne ha sbagliate parecchie e le ha alienato molte simpatie con i suoi metodi bruschi, e la sua unica forza sta nell'essere una Lady di Gomma capace di rialzarsi dopo ogni sconfitta.
La ragazza della grammar school, figlia del vicario, femminista, volitiva, soprannominata Maybot per il suo fare robotico, irresistibile ballerina dalle movenze legnose, non ha ancora finito di fare i compiti - «far uscire il paese in maniera ordinata con un buon accordo» - e per questo non ha nessuna intenzione di mollare.
La sorte le ha dato un rivale come Jeremy Corbyn, rispetto al quale anche lei appare piena di verve, e oggi si vedrà se il Parlamento è stanco di lei come è stato stanco dei suoi predecessori. Oppure se preferiscono lasciare alla più seria di tutti la sua croce e aspettare che il nodo della Brexit sia sciolto per tornare a fare politica con l'ambizione e la visione, e non solo con la cieca ostinazione.
Cri. Mar.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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