L'ACCORDO
VENEZIA Il patto di centrodestra c'è, il programma di governo

Sabato 20 Gennaio 2018
L'ACCORDO
VENEZIA Il patto di centrodestra c'è, il programma di governo anche. La coalizione sarà a quattro ma l'intesa è stata firmata a tre: Silvio Berlusconi per Forza Italia, Matteo Salvini per la Lega, e Giorgia Meloni per Fratelli d'Italia. La quarta gamba, quella dei centristi di NcI-Udc, ha di fatto partecipato alla trattativa da fuori della porta e questo la dice lunga sulle tensioni pronte a scoppiare un minuto dopo la proclamazione degli eletti e forse già nelle urne. Salvini e Meloni hanno infatti preteso di stringere con Berlusconi il vero e proprio patto di coalizione, considerando quello con i centristi di Noi con l'Italia un semplice accordo interno tra i centristi stessi e Forza Italia, che non impegna la coalizione.
La pari dignità chiesta a gran voce da Noi con l'Italia e negata dal punto di vista formale, è stata tuttavia molto ampiamente riconosciuta a livello di candidature: dei 348 collegi uninominali nei quali la legge elettorale divide il Paese, ai centristi ne saranno garantiti 21, più un'altra decina di collegi che Berlusconi si è personalmente impegnato a cedere togliendoli da quelli che spettano a Forza Italia. Complessivamente, in oltre 31 collegi su 348 il candidato alle elezioni sarà espresso dai centristi di NcI-Udc: non male per una forza politica che non è matematicamente sicura di superare alla grande la tagliola del 3 per cento.
LA SPARTIZIONE
La spartizione dei collegi tra gli altri partiti non è ancora stata definita ma i calcoli da cui si parte sono già sulla carta: Forza Italia esprimerà il candidato in 155 collegi, la Lega in 121, mentre a Fratelli d'Italia ne spetteranno 51 e ai centristi, come si è detto, 21. Ma di questi numeri, l'unico certo è quello garantito alla quarta gamba. Tra gli altri partiti i giochi sono aperti e vi potrebbero essere scostamenti significativi.
Se il perimetro dellalleanza risulta definito, resta infatti in piedi la questione della candidatura a governatore del Lazio, per la quale prende forza il candidato proposto da Giorgia Meloni, Fabio Rampelli. Ma è chiaro che la Meloni, se riesce a ottenere la poltrona del Lazio, dovrà calare le ali nel numero di collegi e rinunciare a qualcuno di essi. Fi in particolare, alla quale spetterebbe la candidatura in Lazio, se deve cederla a Fratelli d'Italia ne esige una in un'altra regione, e guarda con cupidigia al Friuli, già prenotato però dal leghista Massimiliano Fedriga.
LA LEADERSHIP
A restare aperta c'è poi la disfida sulla leadership della coalizione, con Silvio Berlusconi che conferma di considerarsi il dominus, anche se non il candidato premier, e Salvini che gli contesta il ruolo, ribadendo di puntare alla poltrona di premier. Insomma Berlusconi nel governo non potrà nemmeno sedere, visto che è ineleggibile dopo la condanna per frode fiscale, ma è lui a dettare lagenda di governo, in un ruolo dunque che non sarà solo di Padre nobile. Salvini replica a stretto giro di posta: «Il bello è che saranno gli italiani a decidere. Chi prende un voto in più farà il premier. Io o Berlusconi, che se potrà farlo lo farà». Tanto, sa che non potrà.
IL GIOCHINO
Tra Salvini, Berlusconi e Meloni è scattato così il giochino del momento: la candidatura a ministro. «Berlusconi sarebbe il mgliore come ministro degli Esteri», comincia Salvini, come se egli stesso fosse già premier incaricato e dovesse decidere il nome dei ministri. «La Meloni sarebbe un ottimo ministro degli Interni» prosegue Salvini. «E Salvini un bravo ministro del Welfare» ribatte lei, sapendo bene che Salvini vuole fare il premier.
SCONTRO IN LEGA
Nella Lega intanto scoppia un'altra grana. E ancora una volta è uno scontro tra Salvini e Maroni. Ma quello che nessuno si aspettava, è che lo scontro fosse nientedimeno che su Giulio Andreotti: il diavolo, il simbolo di Roma ladrona, la personificazione dell'Italia paludata e paludosa che Umberto Bossi ha combattuto con le unghie e con i denti. Eppure a quasi cinque anni dalla morte, l'aborrito Giulio Andreotti trova casa nel Pantheon della Lega, con Salvini che gli spalanca la porta grande e Maroni che si strappa le vesti. A mettercelo è il suo avvocato, Giulia Bongiorno, che difese lo statista italiano dalle accuse di mafia e che appena accettata la candidatura - e con l'onore di capolista - offertale da Salvini, ha subito spiegato d'averlo potuto fare perché la Lega nazionale di Salvini è cosa diversa dalla «Lega nordista» di Bossi e Maroni: «La Lega di Salvini - ha detto Bongiorno - è un partito che per prima cosa ha il pragmatismo nella sua politica, e credo che ad Andreotti sarebbe piaciuta».
«Io e Bossi quelli come Andreotti li abbiamo sempre combattuti» ha scritto gelido Roberto Maroni su Twitter, condannando la decisione di Salvini. Tra i leghisti è un trionfo. La candidatura dell'andreottiana Bongiorno è sommersa da una valanga di critiche: «Ha difeso il mafioso», «Stava con Fini», «Era in lista per Monti».
Alvise Fontanella
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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