IL FOCUS
dal nostro inviato
PADOVA Il Nordest non è in declino, anche

Venerdì 16 Novembre 2018
IL FOCUS
dal nostro inviato
PADOVA Il Nordest non è in declino, anche quest'anno crescerà dell'1,3% dopo il + 1,8% del 2017. Ma rimangono grandi differenze nell'area che è la locomotiva dello sviluppo d'Italia con la Lombardia. Emilia Romagna e Trentino Alto Adige vanno più veloci di Veneto e Friuli Venezia Giulia. E questo perché nel recente passato ci sono stati più investimenti pubblici e si è scommesso di più sui giovani, sulla formazione di qualità e sull'innovazione. Non a caso, come sottolinea il direttore scientifico di Fondazione Nordest Carlo Carraro, la quota dei laureati tra i 20 e i 34 anni in Trentino ha quasi raggiunto la media europea con oltre il 33% mentre in Veneto si è ancora al 27,6% (16,8% dieci anni fa), la più bassa del Nordest. Il Friuli Venezia Giulia si ferma al 28,7% (dal 21,2%). Un gap che passa anche dalla mancanza di centri di ricerca d'avanguardia come quelli realizzati a Milano (Politecnico o il Technopole) oppure a Modena o a Bologna sui Big Data. Mancano poi gli Istituti Tecnici Superiori, quelle scuole d'eccellenza operativa che in Italia sfornano solo 10mila diplomati contro i 760mila della Germania. Dunque una domanda di formazione non viene esaudita ma anche una spinta a investire e a guardare al futuro che non decolla. Le aziende venete tradizionali - avverte Fondazione Nordest - sono indietro nella rivoluzione 4.0 rispetto alle concorrenti del Nordovest. Poi ovviamente ci sono le punte d'eccellenza, che non sono poche. E la voglia di impresa, che si traduce con un livello di start up in Veneto è superiore addirittura alla Lombardia.
«L'incidenza dell'occupazione qualificata è molto più bassa in Veneto che in Lombardia - ricorda Carraro - e questo perché mancano gli investimenti delle imprese ma anche perché il Nordest è visto come poco attrattivo dai giovani, che preferiscono andare a studiare all'università o a lavorare a Milano. Servirebbero nuovi atenei e nuovi investimenti in questo settore».
Il gigante economico che esporta per 60 miliardi deve fare i conti poi ancora con un'immagine vecchio stampo, poco smart. «Molti dei nostri diplomati scelgono altri atenei questo perché forse quelli del Nordest sono ancora troppo piccoli o troppo pochi - avverte Carraro -. E il flusso di laureati nel Nordest è negativo, perché le imprese non offrono posizioni vantaggiose». Bisogna essere anche capaci di trattenere i giovani di talento.
FORMAZIONE
Il Veneto, ad esempio, registra un saldo negativo in termini di mobilità dei laureati pari a - 4,6 per mille (sul totale dei residenti con titolo di studio terziario): significa che in questa regione sono più i laureati che se ne vanno rispetto a quelli che arrivano. Il dato indica che le imprese di questo territorio sono meno attrattive per chi ha investito molto nella formazione, diversamente da Lombardia ed Emilia Romagna che, invece, registrano rispettivamente un saldo positivo pari a +13,7 e a +15,3 (Trentino -0,6, Friuli +1,9) e in cui le imprese domandano in misura maggiore digital skills, cioè competenze digitali, quelle 4.0 e per la Rete.
Serve dunque un grande investimento sulla scuola e nell'università per aggiornarne i contenuti e le modalità di insegnamento. Soprattutto per offrire alle imprese quella forza lavoro che non riescono a trovare. Viceversa, l'Italia investe in formazione e istruzione solo il 4% del pil, collocandosi al terzultimo posto in Europa, prima solo di Irlanda e Romania. Il rapporto dice quindi che serve formare i giovani in modo diverso e con competenze diverse, orientandoli verso una domanda di lavoro sempre più mirata. Serve valorizzare il loro talento.
Ma le università sono d'assoluta eccellenza e infatti anche dall'estero pescano a piene mani nel Nordest. «Il 97% dei laureati in ingegneria a Padova trova un'occupazione - ricorda Carraro, che promuove l'alternanza scuola lavoro - e spesso le imprese della nostra area non trovano le qualifiche richieste».
CREDITI PER ITS
Un gatto che si morde la coda e che potrebbe essere risolto anche da piccole rivoluzioni: «Le università potrebbero riconoscere i crediti dei diplomati degli Its, che potrebbero quindi decidere di intraprendere percorsi universitari senza temere di perdere anni di studio».
Insomma un quadro di tante luce e poche ombre che il Rapporto 2018 di Fondazione Nordest mette in risalto per guardare al futuro, al Nordest dei prossimi 10 -15 anni, perché, come ha sottolineato Maria Cristina Piovesana, presidente vicario di Assindustria Venetocentro, quest'area «siede sulle spalle di giganti d'impresa ma dobbiamo e vogliamo essere creatori di sviluppo per le generazioni future: non possiamo fermarci all'oggi». E nemmeno a una politica che pensa ai like.
M.Cr.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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