IL DIBATTITO
VICENZA Il premier Paolo Gentiloni non ne ha parlato, i sottosegretari

Venerdì 13 Ottobre 2017
IL DIBATTITO
VICENZA Il premier Paolo Gentiloni non ne ha parlato, i sottosegretari Gianclaudio Bressa e Pier Paolo Baretta non sono arrivati, i ministri Gian Luca Galletti, Giuliano Poletti e Graziano Delrio hanno dissertato d'altro. L'unico ad affrontare il tema del voto sull'autonomia, all'interno della delegazione governativa ospite dell'assemblea nazionale di Anci a Vicenza, è stato Claudio De Vincenti. Dal titolare della Coesione Territoriale è arrivata peraltro un'apertura alla trattativa: «Comunque andrà il referendum del 22 ottobre, se i presidenti della Lombardia e del Veneto lo chiederanno, non ci sarà problema ad aprire il confronto con il governo».
LA DISPONIBILITÀ
La posizione è quella già più o meno esplicitamente espressa da Palazzo Chigi, a proposito della disponibilità dell'esecutivo ad affrontare il negoziato con le Regioni che lo richiedono, come più volte è stato ribadito a proposito del negoziato avviato dall'Emilia Romagna. Ma dopo mesi di schermaglie politiche sulla consultazione, e nel giorno in cui molti sindaci e presidenti di Provincia si aspettavano una parola istituzionale sull'argomento, le dichiarazioni di De Vincenti hanno assunto un loro particolare peso specifico. «Il referendum non è un problema ha sottolineato il ministro perché la Costituzione all'articolo 116 prevede ulteriori forme di autonomia. La Regione Emilia Romagna ha già attivato la procedura prevista dalla Costituzione, che prevede semplicemente che il presidente di Regione chieda al governo di poter attivare il confronto, e presto lo apriremo».
Fra i sostenitori del Sì, in particolare di centrodestra, c'è chi ha letto in queste affermazioni una possibile sottovalutazione della consultazione: della serie, quello che conta è comunque il negoziato, il voto è solo una ridondanza. E fra i fautori dell'astensione, soprattutto della sinistra dem, non manca chi esulta per l'ovvietà: ecco confermata l'inutilità del passaggio per i seggi, sarebbe stato meglio avviare subito la trattativa. Insomma siamo alle solite, ma la questione evidentemente continua a tenere banco. Pure fra i partecipanti lombardi all'evento, peraltro, come i sindaci di centrosinistra che si sono formalmente schierati a favore dell'iniziativa referendaria, pur fra i distinguo. Per esempio Beppe Sala, primo cittadino di Milano: «Il Pd ha lasciato libertà di voto sul referendum in Lombardia, mi sembra giusto e io voterei Sì se quel giorno non fossi all'estero per lavoro, avendo premesso però che il referendum si poteva evitare. Il nostro scopo è comunque anche quello di spiegare quale è l'esatta portata del referendum, quale è la logica per cui le Regioni meritano una maggiore autonomia gestionale da alcuni punti di vista».
LA LETTERA
Polemico con l'Associazione dei Comuni e con il governatore leghista Roberto Maroni, a cui peraltro spera di succedere essendosi candidato alla presidenza della Regione, è invece Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, pure pronto a votare Sì («ma per ragioni vere»): «Tutti i Comuni della Lombardia stanno ricevendo, per lo zelante tramite dell'Anci, con suggerimento di pubblicazione sui rispettivi siti istituzionali, un documento predisposto dalla Regione per promuovere il referendum del 22 ottobre. Il documento è pieno di inesattezze, anzi, di vere e proprie falsità. Trovo molto grave che l'istituzione regionale sia usata per un'operazione di propaganda basata su false informazioni. Mi auguro quindi che i Comuni cestinino prontamente il documento della Regione».
Una missiva che, nella versione veneta suggerita dal governatore Luca Zaia ai primi cittadini, fa arrabbiare anche il consigliere regionale dem Graziano Azzalin: «Zaia fa un uso furbesco e personalistico del proprio ruolo, che dovrebbe essere di garanzia».
A.Pe.
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