Elisa assolve Federica e invoca il destino: «Niente mi ridarà quello che ho perso»

Sabato 18 Novembre 2017
Elisa assolve Federica e invoca il destino: «Niente mi ridarà quello che ho perso»
LA PIETA'
TREVISO «Quello che mi è stato tolto non me lo può ripagare nulla, certamente non una sentenza». Elisa Zanardo neppure sapeva che ieri fosse il giorno della sentenza nel processo a Federica Dametto, la 39enne che il 3 settembre del 2015, alla guida del sua Rover con un tasso alcolemico sei volte superiore il consentito, ha travolto e ucciso il marito Enrico Scarabello. La Zanardo dal processo era uscita da tempo, non più parte civile - difesa dall'avvocato Stefano Benozzati - dopo che la compagnia assicurativa della Dametto l'aveva risarcita con circa 300mila euro. Non ha mai odiato, non ha mai invocato vendetta; semmai verso la persona che messo fine alla vita del suo Enrico ha avuto solo parole quasi di pietà. «Do la colpa al destino - aveva detto - quella sera maledetta sono stati distrutte due vite, non una sola».
GIUSTIZIA
Ieri sera Elisa Zanardo aveva poca voglia di parlare: «Volevo solo che fosse riconosciuta la responsabilità per quei fatti - spiega - e che fosse evidenziata la gravità di quello che è successo. Questo è avvenuto e quindi mi sento soddisfatta». Avrebbe voluto una pena superiore? «Io mi fido dei giudici, mi fido della giustizia. Se è stato deciso così vuol dire che è giusto così. Non entro nel merito». La notizia della sentenza le fa rivivere, come in un flash back, i momenti terribili dell'incidente: quel colpo ricevuto dall'auto, il marito Enrico che non si trova più, quel ragazzo che si avvicina per soccorrerla e che con la pila cerca l'uomo, finito però giù dal cavalcavia, vittima di una caduta che gli risulterà letale. Ma resta serena.
I DUBBI
L'altra donna di questa vicenda, Federica Dametto, ieri non era in aula. Ha atteso a casa la sentenza, una telefonata e poche parole con i legali di fiducia Fabio Capraro e Enrico Fava. «Sono molto deluso per l'esito di questo primo grado - è il commento dell'avvocato Capraro - nel corso del dibattimento non sono a mio giudizio emersi elementi di prova tali da poter dire che vi sia stato un nesso di causa tra l'impatto tra la vettura della mia cliente e Scarabello e la morte dell'uomo. Quel guardrail troppo basso messo in cima ad una sovrappasso non è un dettaglio secondario. Se fosse stato all'altezza regolare, come in genere vengono apposte le barriere in quelle situazioni, forse la tragedia si sarebbe potuta evitare. Così come, forse, se vi fosse stata una segnaletica più adeguata». Forse. Ma sono ipotesi che si sciolgono come neve al sole di fronte alla sentenza pronunciata dal giudice Cristian Vettoruzzo: «Tante presunte certezze non sono affatto tali - replica Capraro - a cominciare dal tasso alcolemico, che come è stato spiegato non poteva essere quello che la Dametto aveva quando è avvenuto l'incidente perché è noto che il livello sale e raggiunge il proprio picco ad un certa distanza temporale dall'assunzione di bevande alcoliche. Ci sono ancora tante cose che restano da chiarire e lo faremo nel processo d'appello». Già, il secondo grado di giudizio. Per Elisa Zanardo è come se fosse un concetto astratto. Enrico non c'è più e nulla potrà restituirglielo. E quella ragazza, la barista che ha affrontato la salita del cavalcavia di S. Giuseppe con in corpo forse una quantità eccessiva di alcol, che aveva assunto metadone, non è solo il carnefice del suo matrimonio ma anche una vittima. Vittima del destino che, spiega Elisa Zanardo, «quella sera ha voluto che fossimo tutti e tre in quel esatto posto».
De. Bar.
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