Banche e partecipate, in arrivo l'onda del rating di Moody's

Lunedì 22 Ottobre 2018
LO SCENARIO
ROMA È quasi un automatismo: la riduzione del merito di credito della Repubblica italiana si porta dietro di regola il downgrade anche per gli istituti bancari e per una serie di società partecipate dallo Stato. Succederà lo stesso anche con la mossa di Moody's, con conseguenze che però, in una sorta di circolo vizioso, rischiano di innescare a loro volta altri problemi. Il rating più basso contribuisce ad incrementare i costi di finanziamento per gli istituti di credito, i quali potrebbero inasprire le condizioni applicate ai clienti: come tassi di interesse e come prezzi dei servizi.
LA CATENA
Per il mondo bancario, il problema sono soprattutto quei circa 364 miliardi di titoli di Stato detenuti, una catena che lega il suo destino a quello dello Stato. La corsa dei rendimenti e dello spread induce una caduta del valore di questi asset, che alla lunga potrebbe deteriorare i requisiti patrimoniali al punto di richiedere nuovi aumenti di capitale. E d'altra parte per le banche in questo scenario risulta più difficile ridurre i propri non performing loans, il che rappresenta un ulteriore elemento di difficoltà.
Il meccanismo si era manifestato in tutta la sua pericolosità nei primi anni di questo decennio. Btp e Bot in pancia di agli istituti di credito rendono questi ultimi vulnerabili in corrispondenza delle difficoltà dello Stato che emette quei titoli. Lo stesso Stato che è poi a chiamato a farsi carico in qualche modo delle crisi bancarie e che quindi vede peggiorare la propria situazione. Nel 2012 il downgrade deciso da Moody's per l'Italia fu replicato dopo qualche giorno per numerose banche, oltre che per una serie di partecipate pubbliche e di enti locali. L'idea è che se un Paese risulta meno credibile come debitore, lo diventano automaticamente tutte quelle realtà che in ultima analisi dovranno fare riferimento a quell'autorità statale per risolvere i propri guai.
LE TURBOLENZE
Si tratta di una situazione ben nota pure in questi giorni, anche se la speranza è che le cose vadano in modo meno traumatico. Da fine maggio, da quando cioè le turbolenze politiche hanno messo in movimento il mercato del debito, molte importanti realtà del nostro Paese sono sotto osservazione. La lista è lunga: sul fronte bancario si va da Unicredit, a Intesa Sanpaolo, da Banca Imi a Bnl, da Mediobanca a Crédit Agricole Cariparma, dal Credito Emiliano a Fca Bank, da Cassa centrale Raiffeisen, a società sotto il controllo pubblico come Cdp s Invitalia, fino alla Banca del Mezzogiorno. Tra le società di servizi ci sono, Cdp Reti, Compagnia valdostana delle acque, Hera, Italgas, Snam, Terna, senza dimenticare colossi come Eni, Poste e Rai.
A titolo di esempio, per illustrare il ragionamento delle agenzie di rating si può citare quanto ha scritto nel marzo scorso Moody's a proposito dell'Eni. La società petrolifera è stata promossa da Baa1 a A3, ma con outlook negativo. Questo vuol dire che attualmente Eni si trova tre gradini al di sopra della Repubblica italiana. Moody's scriveva che «il rating del governo rappresenta un severo vincolo per il potenziale di miglioramento della società» specificando chiaramente che «è improbabile che il differenziale con il rating sovrano possa allargarsi oltre due gradini» e che «un più basso rating sovrano si tradurrebbe probabilmente in un rating più basso per Eni». E questo nonostante la stessa agenzia di rating riconosca che il colosso petrolifero è molto forte all'estero e ricava al di fuori dei confini nazionali una parte consistente del proprio flusso di cassa.
L. Ci.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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