Alitalia, pressing contro la liquidazione

Giovedì 27 Aprile 2017
Quarantott'ore dopo la bocciatura del pre-accordo la cautela di tutte le forze politiche sul destino di Alitalia conferma la difficoltà ad immaginare ipotesi alternative. Se si esclude chi, a sinistra del Pd, parla di nazionalizzazione e il fragoroso silenzio di Forza Italia, M5S e lo stesso Pd si limitano a chiedere al governo un'iniziativa che non sia solo quella del fallimento e dello spezzatino. Una frenata ai ministri Calenda, Poletti e Delrio che, «sconcertati» dall'esito della consultazione, in un primo momento sembravano disegnare per Alitalia un unico e solo destino: il commissariamento e poi la vendita in blocco o a pezzi. Ieri la svolta riassunta al Tg1 dal ministro Delrio dopo un vertice a palazzo Chigi: «Sono piuttosto contrario all'ipotesi di dividerla a pezzi. Penso che abbia le caratteristiche, la potenzialità per essere venduta insieme e per trovare un nuovo progetto industriale». La riunione convocata da Gentiloni con i tre ministri interessati e il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan non solo è servita per fare il punto sui costi diretti ed indiretti dell'eventuale liquidazione e per riprendere in mano il piano industriale, ma anche per dare quel segnale chiesto da Renzi e dal presidente del Pd, Matteo Orfini. «Il rischio di fallimento e liquidazione è concreto - dice Orfini - ma sarebbe sbagliato considerarlo un esito ineluttabile. Prima occorre verificare ogni possibile alternativa». Ieri sera Renzi ha annunciato che il Pd presenterà una proposta entro il 15 maggio. A sperare in una soluzione che eviti il fallimento non sono però solo i lavoratori, ma anche i grandi investitori (Banca Intesa e Unicredit) e la stessa Etihad.
La strada del commissariamento sembra però l'unica e ieri se ne è discusso a palazzo Chigi - in attesa della riunione dell'assemblea dei soci del 2 maggio - ma stavolta senza dare per scontata la svendita in blocco o a pezzi. Per evitare la liquidazione servirebbe un intervento dello Stato o di società ad esso collegati. Ieri tra le ipotesi circolava quella delle Ferrovie dello Stato che dovrebbe partecipare ad un piano di integrazione tra aereo e treno.
Senza la ricapitalizzazione della società - che al momento sembra difficile - non ci sono alternative al commissariamento e al prestito ponte di trecento milioni di euro che dovrebbero servire per mantenere l'operatività dell'azienda nei prossimi mesi. Al tavolo del governo si continua ad escludere ogni ipotesi di nazionalizzazione e di fatto si respinge la lettera dei sindacati di base che chiedono di riaprire la trattativa per arrivare ad riacquisto della società da parte della Cassa Depositi e prestiti. Un equivoco - quello della possibile nazionalizzazione - che ha condizionato non poco l'esito del referendum e che ieri sera in tv a La7 persino il pentastellato Di Battista ha negato sia la soluzione proposta dal M5S. Per Alitalia serve «un vero piano industriale con cui rendere la compagnia appetibile. A quel punto - ha aggiunto Di Battista - non escluderei l'intervento di partner europei». Una posizione simile a quella del Pd renziano e che di fatto isola politicamente quella parte del sindacato che ha spinto per il no al referendum. Ieri il ministro Delrio ha fatto il nome di Lufthansa, ma la società tedesca evita di intervenire in una fase ancora molto fluida.
A pochi giorni dalle primarie, Renzi si guarda bene dal polemizzare direttamente con il governo o con lo stesso ministro Calenda al quale i renziani attribuiscono intenzioni simili a quelle del francese Macron che un anno fa si dimise dal governo di Hollande per preparare la candidatura all'Eliseo. Tornare alla guida del Pd serve a Renzi anche per riprendere il dossier Alitalia sul quale nel 2015 ci mise la faccia presentandosi come fautore dell'ingresso di Etihad in Alitalia. Tredicimila dipendenti e altri ventimila nell'indotto non sono un patrimonio elettorale che il Pd di Renzi puiò permettersi di trascurare.
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