«Ricatti mafiosi? No, era una farsa»

Giovedì 15 Novembre 2018
«Ricatti mafiosi? No, era una farsa»
L'UDIENZA
PORDENONE Voleva soltanto che il fantomatico ex console croato Mario Tironi gli restituisse i 500mila euro ereditati dal padre e capire se gli amici assicuratori che l'avevano messo in contatto con lo stesso Tironi fossero coinvolti nel furto. Per l'imprenditore sacilese Raimondo Lucchese è invece finita nel peggiore dei modi: un'imputazione per concorso in tentata estorsione e incendio doloso, a cui si è aggiunto un accertamento dell'Agenzia delle entrare per 450mila euro. Nel processo sui presunti ricatti mafiosi patiti dai pordenonesi Walter e Luca Scolaro, Lucchese si trova nella doppia veste di imputato e vittima. Ieri ha ripercorso al processo quei concitasi mesi tra il settembre 2012 e il marzo 2013. Ha negato di aver ricattato gli Scolaro e, soprattutto, di essere coinvolto nell'incendio della loro casa di via Fornace.
I due assicuratori lo avevano messo in contatto con Tironi per l'affare dei 500mila euro: avrebbe cambiato banconote da 500 euro con tagli inferiori dietro un compenso del 10%. Voleva fare lo scambio in banca, ma il direttore non lo consentì, si limitò a prestargli la macchinetta contasoldi. Al momento dello scambio delle valigette, Tironi consegnò banconote fasulle e sparì. Lucchese ieri ha spiegato che il suo unico obiettivo era recuperare il denaro. «Non chiamai subito i carabinieri perchè ero sotto choc - ha detto - e non volevo che la mia famiglia sapesse. Prima di andare dall'avvocato cercai di capire se gli Scolaro erano coinvolti». Il tentativo di recuperare il denaro coinvolgerà il calabrese Salvatore Bitonti di Salgareda, che autonomamente, assieme ad Alfonso Parise e Saverio Iemmello, estorcerà 37mila euro ai due assicuratori.
Ieri Lucchese ha riferito che era stato lo stesso Bitonti, ingaggiato dagli Scolaro per rintracciare Tironi in Croazia, a confidargli i suoi dubbi sugli assicuratori. Seguirono telefonate e incontri. In un bar di Fontanafredda Lucchese registrò perfino le conversazioni con gli Scolaro, dopodichè Bitonti gli disse: «Facciamo finta che i soldi non erano tutti tuoi». A quel punto entrò in scena un altro calabrese, Vincenzo Centineo (pure imputato, ieri si è avvalso della facoltà di non rispondere). «Centineo - ha spiegato Lucchese - era solo un figurante della farsa creata da Bitonti. Doveva figurare come il rappresentante di un gruppo di imprenditori di Castelfranco Veneto che mi avevano prestato 300 dei 500 euro rubati da Tironi. Era una recita per smascherare gli Scolaro».
Dopo un incontro con gli assicuratori, Lucchese si convinse che erano «sinceri». Gli dissero (per solidarietà) che avevano perso anche loro 150mila euro e a quel punto lui chiese se gli davano una mano: «Dividiamo il male... Non ero convinto che avessero responsabilità dirette, ma tra buoni amici ci si dà una mano». Il punto d'unione tra assicuratori e Lucchese era Bitonti. Ed era lui che avrebbe dovuto rintracciare Tironi in Croazia. «Aveva chiesto 30mila euro come fondo spese - ha riferito Lucchese - Io gli diedi 7/8mila euro in tre tranche e gli promisi il 20% se avesse recuperato i 500mila euro».
Ci sono volute quasi 4 ore per ricostruire la vicenda con Lucchese. L'imprenditore non si è mai risparmiato. Ricordava perfettamente le dieci mazzette, ognuna con 100 banconote da 500, sparite il 21 settembre 2012. E anche la cena della sera prima a Portogruaro con gli Scolaro e lo stesso Tironi che lo voleva conoscere prima di perfezionare l'affare-truffa. Le banconote false? Purtroppo le ha bruciate. E l'incendio della casa di Luca Scolaro? «L'ho letto sul giornale».
Si torna ai aula a gennaio per esaurire i testimoni delle difese.
Cristina Antonutti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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