«Grazie per aver salvato papà»

Sabato 1 Ottobre 2016
POCENIA - Fu il 30 aprile del 1945, con l'ingresso, attraverso il ponte Bayley sul fiume Stella, fra Palazzolo e Rivarotta, della Divisione neozelandese, comandata dal maggiore Geoffey Cox, che finì, nella Bassa friulana, la Seconda Guerra mondiale.
I soldati del New Zealand diedero un forte appoggio agli Stati alleati contro l'asse italo-tedesco. Tre di loro hanno vissuto un'odissea nelle terre del Friuli, dopo che erano stati fatti prigionieri dei tedeschi nel Nord dell'Africa. Tradotti in Friuli, per essere impiegati nei campi di lavoro, Ian Millar, Stan Jones e Jack Leydon, internati al campo 107 di Cividale (nel campo fascista di Grupignano) nel settembre del 1943, approffittando della crisi italiana, fuggirono e, scendendo verso la costa, raggiunsero Pocenia.
Nel paese della Bassa, trovarono ospitalità in casa Zanini, nella campagna dove trovarono un riparo in un profondo fossato e vengono accuditi da una famiglia, per le cure amorose di mamma Antonia («Un cuore d'oro, ci ha trattati come figli» scriverà nel suo libro Ian) e dei suoi figli: Bruno, Angela, Maria, Carmen e Assunta, la più piccola, allora tredicenne. Solo a lei, adesso, è dato di ricordare. «Ci si muoveva solo di notte, a volte venivano loro a casa, altre andavamo noi al fosso, per portargli da mangiare». Ian se l'è ricordato per tutta la vita, di quel «cotechino e polenta e di quel vino e di quelle belle ragazze». Si salveranno, i giovani soldati, dopo una peregrinazione per le strade del Friuli, fino al maggio del 1944.
La figlia di Ian Millar, Sue Moody, che abita ad Auckland, ha deciso quest'anno di ritrovare quella famiglia di Pocenia che aveva salvato il papà. Copiando gli indirizzi sull'elenco telefonico, ha scritto a nove famiglie di Pocenia finché ha trovato quella giusta. E ieri si sono incontrati nel vecchio casale che aveva accolto quei giovani soldati. È stata festa grande con i racconti, i ricordi e l'emozione di una vecchia bella storia che ha unito famiglie, oggi agli antipodi della terra.
Silvio Bini

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