«Io, sieropositiva studiando l'Aids» Un'ex studentessa fa causa a 2 atenei

Mercoledì 18 Dicembre 2019
«Io, sieropositiva studiando l'Aids» Un'ex studentessa fa causa a 2 atenei
IL CASO
PADOVA Era volata all'estero per scrivere la tesi di laurea e realizzare il suo grande sogno. Nel laboratorio di un'università europea stava gettando le basi per una luminosa carriera nel campo scientifico. Proprio lì, invece, sarebbe iniziato il suo grande incubo. Un'ex studentessa universitaria è convinta di aver contratto l'Hiv durante la propria esperienza di studio e ora chiede un risarcimento milionario a due atenei, quello italiano a cui era iscritta e quello estero che la stava ospitando. La causa civile è stata depositata al tribunale di Padova e ora si attende che le due università nominino i propri periti di parte. «La mia vita è stata rovinata, ora mi aspetto che venga fatta giustizia» ha spiegato la giovane donna all'avvocato che la assiste, Antonio Serpetti del foro di Milano.
L'ESPERIENZA
Tutto inizia più di sei anni fa, quando la studentessa iscritta ad una facoltà scientifica dell'ateneo italiano si sposta in un'altra università europea per studiare il virus dell'Hiv. Gli esperimenti in laboratorio la portano a manipolare pezzi del virus. Le viene spiegato che si tratta di pezzi che non possono replicarsi, cosiddetti difettivi. Si tratterebbe, insomma, di test teoricamente senza rischi. In quei giorni la studentessa non ha alcuna preoccupazione e alcun cattivo pensiero, anzi. È felice, realizzata e sogna in grande. Sette mesi dopo, però, durante le feste di Natale la sua vita cambia completamente. E quel sogno universitario si trasforma in un grande incubo.
LA TELEFONATA
È il giorno di Santo Stefano quando la giovane riceve la telefonata del medico di laboratorio dove lei periodicamente va a fare i prelievi per donare il sangue. La comunicazione che riceve è telegrafica, ma da brividi: «Non so come sia possibile, ma risulta che lei è sieropositiva». Gli esami successivi confermeranno tutto. La reazione è quella di una ragazza stravolta, a cui manca la terra sotto i piedi. Una ragazza, però, decisa a battagliare. Decisa a dimostrare che quel virus è stato preso proprio in quel laboratorio, studiando l'Hiv, e in nessun altro modo al mondo. Si affida così all'avvocato Serpetti, esperto in danni alla persona legati alla sfera sanitaria, e ad uno dei centri di ricerca italiani più evoluti per l'Aids. Viene interessato anche il laboratorio di Virologia dell'Università di Tor Vergata a Roma. Inizia una lunga fase di studio, che dura cinque anni, al termine della quale i periti di parte mettono nero su bianco ciò che la studentessa (nel frattempo brillantemente laureata) aveva sospettato fin dal primo momento: «Il virus che lei ha in corpo è identico a quelli costruiti in laboratorio». A dirlo sono le dettagliate analisi sulla sequenza genetica.
GLI INTERROGATIVI
Sono passati anni, ma una domanda resta ancora senza risposta: come potrebbe aver contratto quel virus? Del suo caso se ne parla anche a Boston, nel 2016, in un convegno a cui partecipano alcuni tra i più grandi esperti del settore. «Potremmo essere di fronte è la convinzione di alcuni studiosi - al primo caso di contagio con un virus generato in laboratorio». Non si sarebbe verificato alcun incidente come per esempio la rottura dei guanti o una puntura, e si arriva ad ipotizzare addirittura la trasmissione del virus via aerea. Nemmeno lei, però, sa dire con certezza cosa può essere successo. Spetterà al Tribunale di Padova stabilirlo. Nei primi mesi del 2020 i due atenei chiamati in causa dovranno nominare i propri periti. La giovane punta il dito principalmente contro l'ateneo estero che la stava ospitando nel proprio periodo di studio legato alla tesi, ma chiede i danni anche all'università italiana che l'ha mandata a studiare in quel centro.
IL LEGALE
«Siamo ancora alla fase iniziale della causa civile e attendiamo di vedere se le nostre valutazioni di parte saranno confermate dai periti della magistratura - spiega l'avvocato Serpetti -. Noi abbiamo incaricato degli esperti che hanno fatto i propri studi con grande scrupolo. Per completare l'analisi del suo genoma virale ci sono voluti cinque anni, adesso la ragazza sta abbastanza bene ma deve sostenere delle delicate terapie. E si aspetta che venga fatta giustizia».
Gabriele Pipia
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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