Contin: piccolo passo avanti, Roma non concederà niente

Martedì 24 Ottobre 2017
Contin: piccolo passo avanti, Roma non concederà niente
SERENISSIMI
CASALE DI SCODOSIA «Il referendum per l'autonomia? Un piccolo passo nella direzione giusta. A creare le condizioni è stata la nostra azione sul campanile di San Marco del 9 maggio 1997. Il voto di domenica è figlio del campanile, dei Serenissimi. Quel giorno ha cambiato la storia della causa veneta, molto più del referendum di domenica da cui in realtà non mi aspetto grandi conseguenze pratiche». A parlare è Flavio Contin, da Casale di Scodosia, 75 anni a novembre, artigiano ora in pensione, uno del commando veneto che 20 anni con un blindato costruito in casa sbarcò nel cuore di Venezia per issare la bandiera di San Marco sul Campanile. Per Contin e gli altri il prezzo dell'azione fu una condanna penale rilevante. Ma l'artigiano padovano esponente del Veneto Serenissimo Governo non parla solo in veste di reduce: è tra i 24 secessionisti arrestati con accuse pesantissime (associazione con finalità di terrorismo) nel blitz dell'aprile 2014 ordinato dalla Procura di Brescia. Processo che lo attende al varco il 31 ottobre.
Contin, è andato a votare?
«Certo, per il Sì. Come tutti gli indipendentisti che hanno a cuore la causa, distinguo a parte».
Cosa dice del risultato?
«È un piccolo passo avanti. Dalla trattativa con Roma non mi aspetto nulla: al 99,9% lo Stato italiano ti darà al massimo un piatto di lenticchie. Te lo lascerà per un po', poi se lo riprenderà. Non facciamoci illusioni, ci hanno sempre trattato da pezzenti».
Perchè, se non si otterrà niente, parla di passo avanti?
«Perchè il voto ha aumentato nei veneti la consapevolezza dell'identità, di far parte di un popolo e di una nazione storica d'Europa. E l'altro motivo è che il Sì è prevalso nonostante il forte ostracismo dello Stato in campagna elettorale e l'opposizione della nostra sinistra che, a differenza di quella catalana, ha provato in tutti i modi a boicottare il referendum. Sarà propedeutico all'indipendenza, ecco perchè il voto di domenica è positivo».
Zaia dice che c'è un prima e un dopo il 22 ottobre. Condivide?
«Zaia si è comportato bene. Anche se è stato costretto a seguire la strada istituzionale imposta in Regione da ex democristiani e socialisti: con i loro voti è passata la legge sul referendum. Ma la vera data-spartiacque per il popolo veneto è un'altra, il 9 maggio 1997».
Perchè?
«Noi abbiamo buttato giù un muro invalicabile. All'epoca la Lega aveva il monopolio di tutte le istanze federaliste e Bossi, capo indiscusso, era contro l'indipendenza del Veneto. Se non ci fosse stata la nostra azione ancora oggi parleremmo di indipendenza della Padania, una roba fittizia, senza alcun fondamento storico. I lombardi hanno sempre sofferto l'identità veneta, ereditata dalla Serenissima. E noi con il blitz abbiamo tirato giù la maschera a Bossi e a quella Lega che aveva plagiato i veneti. Rispetto allo Stato, da quel giorno sa che esiste una questione veneta».
Il referendum in Lombardia ha fatto flop
«Non mi interessa».
La strada secessionista della Catalogna è un modello che il Veneto può seguire?
«Appoggio senz'altro i catalani, ma loro partono da un piano diverso: l'autonomia ce l'hanno già. Le regioni d'Italia invece, parlo di quelle ordinarie, sono all'età della pietra nel rapporto con lo Stato centrale, rispetto al resto d'Europa. Per l'Italia il modello da seguire è la Svizzera: una confederazione di popoli liberi».
Ma se la trattativa con Roma fallisce, dal suo punto di vista, torna in campo l'ipotesi secessionista?
«C'è sempre un piano B».
Contin, tra pochi giorni, deve affrontare un nuovo processo a Brescia, le imputazioni sono pesanti...
«Non è il momento di dire niente. Ricordo solo che Zaia ci ha promesso che la Regione veneto ritirerà la costituzione di parte civile. Ci conto».
Paolo Francesconi
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